Prevedere il futuro dei social network.

Sembrano ancora nuovi, ma per tanti utenti sono già vecchi. Per chi ci lavora, la risposta è la curiosità.

Gli ultimi dieci anni hanno registrato l’esplosione dei social network in tutto il Mondo e il nostro Paese è in cima alle statistiche delle nazioni con gli utenti più attivi e più attenti alle novità. Nel 2010 gli italiani che avevano un account Facebook erano intorno ai 18 milioni; oggi sono più del doppio, oltre 36 milioni sul social media creato da Mark Zuckerberg nel lontano febbraio 2004.

In questo decennio tutti noi abbiamo collezionato profili: prima Facebook, poi Twitter e YouTube, poi Instagram. Abbiamo visto la meteora Snapchat, l’affermazione di LinkedIn dedicato ai professionisti, e infine TikTok. Si stima che ogni italiano abbia aperto in media 7,4 account social, ma non necessariamente attivi.

Anche per gli editori e le agenzie di comunicazione l’ultimo decennio è stato tutto un rincorrere e studiare i nuovi social network, con curatissime pagine di brand famosi e non che inizialmente vivono di pura reach organica, e poi, man mano che le piattaforme si affollano, necessitano di investimenti costanti in advertising per ottenere e poi mantenere visibilità e preservare la reputazione.

Per tutte le aziende e per i punti vendita si tratta infatti di nuovi media che hanno una audience giornaliera enorme e spesso ben profilata, quindi rappresentano uno straordinario strumento di marketing e di advertising, apparentemente anche relativamente semplice da manovrare, economico e senza quasi la necessità d’intermediari professionali.

Sappiamo però che non è proprio così e dietro i successi di alcuni clienti ci sono team interdisciplinari di giovani smanettoni (li definiamo così) che parlano due o tre lingue e si sono anche laureati in università prestigiose. Ma per il secondo semestre 2020, da settembre in poi, quel confine temporale di tutti, quello che dovrebbe definire la nuova normalità post COVID-19, che cosa ci attende nel mondo della comunicazione e dei social network? E soprattutto, come dobbiamo prepararci, su cosa dobbiamo investire per continuare a lavorare con successo in questo settore? Ci vorrebbe davvero la sfera di cristallo per fare dei pronostici su come evolverà il panorama dei canali social e il loro utilizzo da parte degli utenti italiani e mondiali da qui al 2030.

Se oggi si stima che il 45% della popolazione globale sia attiva sui social network con un tempo medio di 2 ore e 16 minuti al giorno e in soli 15 anni dalla sua nascita Facebook ha raggiunto i 2,2 miliardi d’iscritti nel mondo (dati 2019 We Are Social e Hootsuite), chissà quali scenari possiamo aspettarci nel 2030. Quello delle piattaforme social è, infatti, un contesto in rapida e costante evoluzione e l’unica cosa certa è che dobbiamo documentarci e tenerlo continuamente sotto osservazione.

Sembra banale, purtroppo per noi italiani non lo è, ma il livello di conoscenza della lingua inglese è già di per sé un elemento fondamentale per poter comunicare online con alcuni esperti, partecipare a seminari e potersi aggiornare professionalmente. Oggi chi opera nel settore della comunicazione non può permettersi distrazioni perché questo settore richiede investimenti costanti e risorse umane specializzate.

Fino ad allora la maggior parte di noi aveva candidamente inserito nel profilo Facebook tutte le informazioni personali: dalle foto dei figli e delle vacanze, all’orientamento politico, religioso e sessuale, dal cambio di lavoro o di città all’acquisto di una nuova macchina ai km percorsi facendo jogging. Già dal 2021 il tema della privacy nella gestione dei dati personali sarà un argomento “caldo” di massimo interesse e di conseguente business per le società specializzate. Le persone ora sono tutte più consapevoli del fatto che le mayor, così come organizzazioni politiche, possono sfruttare i dati acquisiti attraverso i social network per proporre annunci che intercettino esattamente le loro preferenze e condizionino il loro pensiero, le abitudini o i consumi.

Molto probabilmente il rapporto d’amore incondizionato tra gli utenti e i social media si è incrinato e non tornerà mai più come prima. Si è trasformato in un rapporto superprotetto e di reciproca soddisfazione ma senza implicazioni sentimentali. Per questo motivo durante l’F8 del 2019, la conferenza annuale degli sviluppatori di Facebook, lo stesso Mark Zuckerberg è stato costretto a dichiarare: «Future is private». Si tratta di un cambiamento di paradigma radicale per il social network nato come una piazza pubblica, che d’ora in poi, invece, punterà moltissimo sui salotti privati, sui club esclusivi, sulle piccole comunità di appassionati online – stando alle parole dello stesso Zuckerberg – con pubblici molto ristretti, conversazioni di maggiore valore e notizie pubblicate provenienti da fonti più certe e sempre verificate. Staremo a vedere.

Nel frattempo c’è chi parla anche della nascita di esclusive piattaforme social private, cioè luoghi virtuali online dove le persone, previo invito e autorizzazione, possano ritrovarsi per condividere interessi specifici con contenuti rilevanti e massime garanzie sulla privacy. Quello che è certo è che in questo scenario le aziende dovranno cambiare approccio alla loro comunicazione.

Alle classiche strategie mainstream, pensate per l’ampia reach del feed social attuale, i brand dovranno affiancare azioni che consentiranno di intrattenere un rapporto quasi diretto (più intimo e privato) con singoli clienti, e di interagire ad esempio nei gruppi chiusi di Facebook o in quelli di Telegram come nelle nuove community che stanno nascendo e che proliferanno in rete.

TikTok ha già raggiunto un miliardo di utenti a livello globale ed è in rapida crescita, ma potrebbe anche rappresentare una moda passeggera in Italia, com’è avvenuto in passato per Snapchat. Alcune aziende BIG ci stanno investendo molto, altre stanno alla finestra a guardare, molto difficile fornire consigli validi alle medie e piccole aziende italiane. Ma la vera novità sta nel fatto che per la prima volta in Occidente iniziamo a utilizzare in massa una piattaforma che proviene dall’Oriente.

TikTok infatti è un social network cinese lanciato nel settembre 2016 inizialmente col nome musical.ly dalla società ByteDance; funziona con la creazione di video da 15 a 60 secondi, prevalentemente su una base musicale, ed è considerato il principale competitor di Instagram, ideato per gli appassionati di fotografia e cultura dell’immagine.

Tipica era la risposta di molti utenti riguardo a Instagram: “non sono capace di fare delle belle fotografie e non parlo molto bene l’inglese”. Ma se già ci preoccupiamo del rispetto della privacy da parte del colosso americano Facebook, da più parti si levano moniti a stare all’erta soprattutto con TikTok. Insomma, una volta capito che chi controlla i social network può controllare il consenso e manipolare le idee, orientare i consumi, è facile intuire che il tema dell’utilizzo di queste piattaforme da parte delle persone interesserà sempre di più la politica e i rapporti di forza commerciali fra le potenze economiche mondiali. Noia da social media, parola d’ordine: Emozione.

C’è chi già prefigura un’ondata di ritorno ai media tradizionali, alla carta stampata, ai libri, all’offline e ai mezzi fisici dopo la grande abbuffata digital degli anni appena trascorsi. Personalmente, anch’io trovo che ci sarà sul medio-lungo periodo un’inversione di tendenza rispetto alla costante crescita dei social media dell’ultimo decennio.

Quello che invece non cambierà da qui al 2030 per chi si occupa di comunicazione sarà l’attenzione alle idee intelligenti e alla creatività, la cura di mettere al centro le persone. Nel prossimo decennio forse potranno trasformarsi le piattaforme, i mezzi di comunicazione o i luoghi in cui la gente si ritroverà, ma non sarà mai diversa l’indole dell’animo umano che si appassiona alle storie, che vuole emozionarsi, ridere, piangere e poter riflettere.

ANGELO DADDA
Direttore Creativo P.O.