Concetrazione massima.
Come si ottiene? Come possiamo dare il massimo ai nostri clienti senza deconcentrarci?
C’è un libro che ho riletto recentemente che vorrei portare alla vostra attenzione e a quella dei collaboratori con cui trascorrete numerose ore ogni giorno. Si intitola “Flow” ed è un bestseller mondiale, pubblicato nel 1990 da un grande psicologo ungherese dal nome impronunciabile: Mihály Csíkszentmihályi. Nato nel ’34 a Fiume, l’autore è mancato solo un anno fa in California, alla soglia quasi dei 90 anni. Flow è un libro prezioso, un classico fondamentale della psicologia contemporanea, perché il suo autore introduce per primo il concetto di flusso di concentrazione. In parole povere, il sunto di 450 pagine di libro è che l’essere umano raggiunge lo stato più alto di felicità quando vive in uno stato di flow ovvero in un momento – più o meno lungo – di massima concentrazione e dedizione a un’attività unica.
Di per sé non è la scoperta dell’acqua calda, però va detto che Csíkszentmihályi per primo mette in connessione le esperienze singole di massima concentrazione e propone di stenderle su un tappeto rosso, che rappresenta la nostra vita, andando così a definire il vero significato di una vita felice e appagante. È, infatti, proprio questo tappeto di esperienze di singole felicità che potrà determinare un’esistenza interamente felice. Fin qui la teoria e, come sempre, a noi piace mettere a terra le teorie, affrontandole senza alcun pregiudizio né impostazione ideologica che non sia la vita reale.
Tengo sempre presente il mio mantra, rubato a Prezzolini: “La vita se ne infischia delle teorie”. Avete in mente quei viaggiatori sul treno che sono intenti a leggere un libro o sono immersi nella visione di un film sul loro pc? Sono così concentrati che il controllore quando arriva è obbligato a bussare sulla loro spalla per farsi consegnare il biglietto. Ecco, quando vi capita la prossima volta, osservate con attenzione l’espressione che quei viaggiatori fanno nel primo mezzo secondo dopo il tocco sulla spalla. Nei loro occhi e nelle loro espressioni facciali c’è un totale spiazzamento. Stanno dicendo: “Ma come, esiste un mondo reale? La vita non è quella del film che stavo guardando?”. Subito dopo la razionalità prende spazio e sposta la realtà vera (quella del controllore) su un piano gerarchicamente superiore rispetto a quello della realtà fiction (quella del film o del libro).
Seguono delusione istantanea e poi una precisa reazione al controllore, che sarà più o meno empatica a seconda della simpatia della persona. Se ci fermassimo a quei minuti o a quella mezz’ora in cui il lettore è immerso dentro le pagine del suo libro e se entrassimo nel suo cervello, non potremmo fare altro che constatare uno stato di concentrazione massima, quel flusso di cui parlavamo qui sopra, un’immersione sensoriale totale che astrae il lettore da qualsiasi cosa che di razionale gli succeda intorno. Ecco, in quei momenti, siamo felici. Tutto qui. E vi pare poco? Felici nel senso di occupati, attivi mentalmente e fisicamente, soprattutto aggiungo io distratti. Felici di fare a pieno una cosa che ci piace tanto. Per questo motivo predico spesso che il primo e più importante antidoto alla paura o all’ansia sia l’azione. Perché, agendo, noi freghiamo il nostro cervello. Gli stiamo chiedendo di concentrarsi a pieno su un argomento e, se riusciamo a farlo, gli impediamo di pensare a quell’altro argomento angoscioso.
Potrà, infatti, sembrarvi strano, ma il nostro cervello, per quanto intelligente e potenzialmente capace, non riesce a fare una cosa apparentemente banale: pensare a due cose contemporaneamente. Per questo, a mio modesto avviso, quel flusso di concentrazione massima fa stare così bene. Perché astrae, diverte in senso latino, cioè “allontana da”. Del resto, quando siamo immersi in un’attività che ci piace, ci dimentichiamo anche di mangiare, di bere o di chi ci sta intorno, è vero o no? Ora il tema è: si può indurre quello stato di felicità derivante dal flow? Secondo l’autore del libro sì, mentre io sono un po’ più perplesso. La massima concentrazione non si può comandare a tavolino, questo è pacifico, però effettivamente si possono creare le condizioni affinché un’immersione totale cresca rigogliosa, a proposito di un’attività che piaccia e che già prima di quell’immersione ci faccia stare bene. Qualcuno utilizza metodi meccanici.
Vi faccio un esempio: conosco più di una persona stressata lavorativamente che per “staccare” completamente si dedica ad attività fisiche molto intense, come il go-kart. In questo caso, chi di voi l’ha mai provato sa che sul go-kart le sensazioni sono così immediate, il fisico è chiamato a un’azione tale di forza e resistenza, che se solo ci si distrae un attimo, si finisce fuori. Idem per quanto riguarda il golf. Da fuori non si direbbe, ma qualsiasi campione più o meno riconosciuto di golf è pronto a dimostrare che la qualità del gioco dipende moltissimo dalla pulizia mentale che una persona vanta in quel giorno sul campo o che riesce a indurre appunto con uno stato di flow. Gli esempi sportivi, come avrete capito, potrebbero essere tantissimi, soprattutto se si sale di livello agonistico.
Per questo motivo, la teoria del flow di concentrazione ha avuto molto successo nell’ambito di alcune scuole di miei colleghi che formano gli sportivi o li preparano mentalmente. Perché quel flow di cui stiamo parlando oggi risulta in fin dei conti molto simile alla trance agonistica. Il problema è che noi siamo persone “normali” ovvero non dei campioni sportivi. Dunque, torno a bomba, secondo voi è possibile indurre quello stato di concentrazione massima a tavolino? Per esempio prima di affrontare un sabato pomeriggio in negozio, pronti all’assalto natalizio foriero di fatturato importantissimo? Continuo a rimanere scettico a riguardo. Quel sacro fuoco è vero che cresce con il tempo e con il nostro coinvolgimento, ma è altrettanto vero che o uno l’ha o non l’ha. Immagino vi vengano in mente diversi vostri collaboratori che non avete più accanto, incapaci di dedicarsi anima e corpo a una materia o di concentrarsi per più di 3 minuti su un argomento. Se a 3 minuti ci arrivavano.
Qui il tema è decisamente più ampio e non può che fare i conti con la drastica diminuzione della nostra capacità di concentrazione in un mondo sempre più visivamente frenetico e stressante. Parlando con la maestra d’asilo di mia figlia, un paio di anni fa mi diceva che già da diverso tempo stanno notando nei bimbi l’incapacità a rimanere focused per più di 30 secondi. O succede davanti a loro qualcosa o dopo questa manciata di secondi i bimbi ti mollano. E questo è un bel problema didatticamente.
Riflettendoci, mi veniva in mente che i bimbi che oggi vanno all’asilo sono figli di persone dai 25/30 ai 45 anni ovvero la generazione che è cresciuta stando delle ore sul divano davanti alla tv il cui ritmo era scandito da spot di 30 secondi. Sarà un caso? Data, dunque, per assodata la globale difficoltà a creare concentrazione, non mi stupisce che molti di voi, quando sono nei vostri centri ottici, mi confidino che sono molto preoccupati per la mancanza di concentrazione delle proprie risorse.
Il lavoro diventa impreciso, si perdono i pezzi per strada e si iniziano a compiere errori. E il cliente se ne accorge. Dunque, che fare? La soluzione non è facile né immediata. Secondo il nostro autore Csíkszentmihályi bisogna dedicarsi molto a se stessi, lavorare sulla propria concentrazione, trovare la motivazione dentro di sé. Sì, tutto bellissimo, ma come? Secondo me, per tagliare la testa al toro, la strategia è una sola e va nella direzione della motivazione. Trovare concentrazione in un’attività che non ci motiva per niente (anzi ci demotiva) è un lavoro da extraterrestri. Ma poi perché? Sapete che mi sono sempre schierato dalla parte della continua e costante ricerca della propria passione. È quella passione che porta alla concentrazione, siamo sempre lì.
Io mi posso anche appassionare a un’attività professionale o sportiva con il tempo, ma alla base dev’esserci almeno una buona dose di curiosità. E di ricompensa psicologica (dopamina, vi ricordate?). Chi di noi saprebbe portare avanti una motivazione per qualcosa che non ci ricompensa neanche un po? Da qui le istruzioni d’uso per le vostre risorse: sono appassionate? Hanno sufficiente energia? C’è empowerment nei loro confronti da parte vostra? Su questi temi dovete lavorare, se volete che i vostri collaboratori aumentino il proprio livello di concentrazione in ciò che fanno. Perché – e questo è indubbio – se c’è una cosa su cui Csíkszentmihályi ha perfettamente ragione è che il flusso di massimo e profonda concentrazione porta ad aumentare vertiginosamente la qualità di ciò che facciamo. Nello sport è facile misurarlo, ma è anche una tecnica ormai riconosciuta e diffusa in tutti i team del mondo. Farlo, invece, professionalmente non è alla portata di tutti, ma paga tantissimo in quanto a qualità finale del lavoro (o del prodotto) e ha una controindicazione positiva straordinaria: aumenta l’engagement di chi lavora per voi! Comunichiamo Amici, non è mai abbastanza!
Roberto Rasia dal Polo
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