Connessioni architettoniche

Gli occhiali del nuovo brand Good’s colgono il linguaggio di una cultura contemporanea trasversale tra design e influenze artistiche; lo racconta il direttore creativo del brand l’Architetto Francesco Maria Stazio.

L’occhiale è da sempre crocevia di più mondi e nell’ultimo decennio la liaison con il mondo dell’architettura si è rafforzata. Cresce infatti il numero dei progettisti coinvolti nell’eyewear, contribuendo con le loro visioni ad amplificare il concetto di design puro, trasportandolo così in una dimensione più ampia.

L’Architetto Francesco Maria Stazio è entrato nel nostro mondo con il progetto Good’s, insieme al veterano dell’eyewear, Piero Buono, da tre generazioni nel mondo dell’ottica, con una vasta esperienza nell’eyewear e conoscenza dei mercati, anche internazionali, e Walter Engle, il founder più giovane, con una visione delle nuove generazioni in particolare sul mondo digital. P.O. Platform Optic lo ha intervistato.

Ci racconterebbe il suo background di architetto?

Sono “immerso” nell’arte e nell’archeologia da sempre: sono figlio di archeologi, soprintendente mio padre, direttrice di un museo archeologico mia madre, sono cresciuto nei musei in Puglia e poi a Napoli.

Sono sempre rimasto in questo mondo e mi sono anche occupato di archeologia subacquea; poi, dopo essermi laureato in architettura, ho lavorato come assistente al Corso di Gestione Urbanistica del Territorio alla Federico II di Napoli. Successivamente, mi sono trasferito a Berlino dove mi sono occupato di progettazione di musei e restauri di monumenti ed in seguito ho fatto varie esperienze all’estero tra cui anche in Iraq, alla base militare di Nassirya, dove ho partecipato al Progetto “Italy for Iraq”, ciclo di lezioni sui Beni Culturali svolte nella base militare di Tallil. Un altro aspetto del mio lavoro è l’allestimento di mostre.

Quando ha iniziato a disegnare occhiali? Sono stati gli occhiali a scegliere lei o viceversa?

Sono gli occhiali che mi hanno cercato esattamente un anno fa! Piero Buono mi ha parlato del progetto Good’s e l’ho ritenuto estremamente interessante: un vero incontro tra il mondo dell’ottica e quello della cultura. La professione dell’architetto è la sintesi tra tecnica ed estetica e ho voluto portare questo pensiero nella progettazione degli occhiali. Non desideravamo creare una collezione che emergesse per stravaganza o eccentricità, ma abbiamo voluto un progetto ricco di contenuti che puntasse su equilibrio, eleganza, qualità del prodotto e sostenibilità.

Qual è il suo approccio creativo quando crea un paio di occhiali?

Good’s è un progetto corale, dove il lavoro di gruppo è fondamentale, utilizzando l’esperienza e la conoscenza di tutti i componenti. Il mio contributo riprende il mio modo di progettare da architetto, che può essere riassunto nella frase del jazzista Charlie Parker “impara tutto quello che c’è da sapere sugli strumenti musicali, poi dimentica e suona come ti pare”.

Una libertà di espressione fondata su una conoscenza approfondita. Per progettare bisogna partire sempre dalla conoscenza, dalla ricerca, non esclusivamente quella tecnologica, ma soprattutto storica: per evolversi bisogna conoscere ciò che ci ha preceduto.

Quanto l’architettura influenza il suo concept di occhiale?

Il 100%! La prima collezione di Good’s, non a caso, si chiama A collection, intesa con architettura. Sono sette modelli e ciascuno porta il nome di un architetto famoso.

Ogni modello è progettato seguendo il modus operandi dell’architetto citato.

Ci farebbe qualche esempio?

Il primo modello, Niccolini, è ispirato all’architetto Antonio Niccolini, famoso per aver restaurato il teatro San Carlo di Napoli, costruito all’inizio del Settecento. Dopo un incendio, Niccolini l’ha ricostruito adattandolo al gusto Neoclassico. L’occhiale ha l’iconica forma arrotondata, tipica dello storico modello “pantòs”, termine di origine greca παντός che significa “tutto”, e ricorda quello stile caro agli anni ’60 ma con uno spessore sopraccigliare molto più marcato che segna la scelta progettuale di Good’s.

Una forma del passato rivista in chiave moderna. Il modello Fanzago, dedicato a Cosimo Fanzago, architetto del ‘600 ed esponente del Barocco Napoletano, la cui figura è abbinata a Donna Anna di Carafa, moglie del viceré di Napoli, è un modello femminile, elegante e moderno. Inoltre, ciò che accomuna gli occhiali Good’s è l’anima, non solo per la sua funzione strutturale ma vera protagonista: abbiamo ripreso alcuni elementi delle facciate di tre chiese di Napoli (San Gregorio Armeno, Gesù Nuovo e la Certosa di San Martino) e li abbiamo riprodotti in scala artigianale sull’interno delle aste laterali dove sono visibili attraverso la trasparenza degli acetati.

Quali sono le evoluzioni a livello di design dell’occhiale che ci dovremo aspettare per il futuro?

Credo che il Made in Italy debba diventare sempre più l’elemento distintivo e l’occhiale debba diventare un oggetto con contenuto, dando spazio all’artigianalità del prodotto e all’attenzione ai dettagli. Un altro elemento sarà l’ecosostenibilità, sia per l’occhiale che per il packaging. L’eyewear di Good’s è già espressione di tutto questo.