Dagli obiettivi al piano d’azione.

Fissato l’obiettivo da raggiungere si passa “semplicemente” a definire il percorso per arrivare alla meta desiderata. È il momento del piano d’azione inteso come l’insieme delle prestazioni a cui tendere e delle azioni da attuare nel tempo, che rappresentano il processo volontario, controllato e funzionale al raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Abbiamo analizzato negli articoli precedenti della rivista quali caratteristiche deve possedere un obiettivo per essere formulato in modo corretto in termini di specificità, chiarezza e attuabilità. Ricordo che l’obiettivo deve essere specifico, definito nel dettaglio; misurabile (perché solo misurando i risultati raggiunti è possibile fissare adeguatamente un nuovo obiettivo; realistico e quindi realizzabile in termini di contesto, risorse e disponibilità; rilevante, (stimolante); definito nella tempistica; ecologico in quanto deve avere un senso e un significato coerente con i valori della persona; registrato in quanto già gli antichi dicevano “verba volant, scripta manent” (“le parole volano, gli scritti rimangono”).

Ora che il nostro obiettivo è stato selezionato secondo i criteri descritti è giunto il momento di passare al piano d’azione progettando quell’insieme di operatività che permette, letteralmente, di passare dalla teoria alla pratica.

Ogni obiettivo selezionato deve avere sempre un rispettivo piano d’azione per il raggiungimento dello stesso che comprenda una serie di elementi: aree di intervento, azioni da compiere, priorità e sviluppo temporale, analisi ostacoli, facilitatori potenziali e monitoraggio progressivo dei risultati raggiunti.

Spesso in aula definisco il piano d’azione come un’assunzione di responsabilità nell’individuare una o più azioni concrete possibili che prevede la definizione delle aree di lavoro prioritarie, le azioni necessarie, l’analisi del contesto, la valutazione dei possibili ostacoli.

Per passare all’azione occorre paradossalmente mettersi nuovamente a tavolino e considerare le risorse disponibili, pianificare e gestire il tempo di ogni azione strutturando una sequenza efficace di passi da compiere.

Alcune volte si fa veramente fatica a mettere in pratica il programma e che serve a portare a termine il piano d’azione stabilito! La costruzione di un piano d’azione efficace presuppone la conoscenza di tre diversi tipologie di obiettivo che, nella loro interazione, andranno a produrre il piano d’azione stesso.

Gli obiettivi di risultato corrispondono all’obiettivo complessivo finale che la persona intende raggiungere e si focalizzano esclusivamente sul risultato finale dell’intero processo.

Per esempio, nel calcio potrebbe corrispondere a voler vincere la partita, a livello aziendale ad incrementare il fatturato, per uno studente universitario a ottenere una determinata votazione all’esame. Il punto critico dell’obiettivo di risultato desiderato è che esso il più delle volte non è completamente sotto il controllo del soggetto, ma presenta degli aspetti esterni che possono incidere in maniera significativa al raggiungimento dello stesso.

Per la squadra di calcio, ad esempio, il risultato finale dipende sia dalla prestazione della squadra, ma anche da quella degli avversari. In sostanza significa avere la consapevolezza che alcune variabili sono più o meno direttamente controllabili, mentre altre non potranno mai esserlo.

Gli obiettivi di prestazione corrispondono alla prima declinazione dell’obiettivo di risultato nell’elaborazione del piano d’azione. Essi sono naturalmente più flessibili rispetto agli obiettivi di risultato e sono tipologie di obiettivi che si focalizzano sulle aree di incidenza del processo di miglioramento o cambiamento.

Nell’obiettivo di prestazione vi è una maggiore incidenza causale della persona, attraverso azioni controllabili e determinate da una scelta volontaria e consapevole.

Riprendendo l’esempio della partita di calcio, possiamo dire che un obiettivo di prestazione potrebbe corrispondere al miglioramento della fase difensiva della squadra, della tattica specifica della partita, ecc. Di fatto, molteplici sono le aree di incidenza prestazionale capaci di influenzare il risultato finale, così come diversi possono essere gli obiettivi prestazionali individuabili.

Gli obiettivi di processo rappresentano la declinazione degli obiettivi di prestazione individuati, definita in maniera specifica e pragmatica nel piano d’azione. Gli obiettivi di processo considerano le azioni concrete programmate che consentono al soggetto di attivarsi nel raggiungimento degli obiettivi di prestazione definiti e, conseguentemente, di puntare all’obiettivo di risultato desiderato.

Nel nostro esempio, riprendendo il miglioramento della fase difensiva della squadra, possiamo considerare quale obiettivo di processo, per esempio, il movimento corale dei singoli difensori definendo di conseguenza gli esercizi da fare per ottenere la performance.

Il piano d’azione diventa così lo strumento in grado di trasformare il desiderio in azione. Tra gli obiettivi di risultato, obiettivi di prestazione e obiettivo di processo, i primi sono certamente quelli presi maggiormente in considerazione, ma è proprio in questa selezione che spesso si commettono i maggiori errori di impostazione del piano d’azione. Nella creazione del piano d’azione, è necessario individuare i possibili ostacoli e i potenziali facilitatori prefigurabili nel cammino verso il raggiungimento degli obiettivi fissati.

L’ambiente di appartenenza è uno dei fattori determinanti nella relazione tra piano d’zione e prestazione finale e come in ogni ambiente può presentare barriere e opportunità. La definizione di ambiente di appartenenza comprensivo dell’insieme del contesto e delle relazioni personali trova un’interessante analogia quando si parla di macroambiente e microambiente di un’impresa.

Il macroambiente è costituito dall’insieme delle forze esterne (di natura demografica, economica, geografica, socio-culturale, tecnologica, ecc.) che agiscono sull’impresa e che non sono da essa controllabili o influenzabili.

Il microambiente riguarda quell’insieme di elementi sui quali è possibile un’azione volontaria e controllata dell’impresa e che pertanto possono essere modificabili.

Nello sviluppo di un piano d’azione efficace è fondamentale analizzare in maniera oggettiva gli elementi ambientali controllabili e modificabili dall’azione volontaria del soggetto (microambiente) e distinguerli dagli elementi che non vedono possibile un’azione di controllo perché rientrano nella sfera del macroambiente.

Oltre agli ostacoli ambientali, è importante che il soggetto valuti quelli che sono definiti gli ostacoli di processo, cioè le possibili interferenze al piano d’azione incontrabili nella realizzazione operativa del piano d’azione ed è fondamentale che il soggetto si soffermi sugli ostacoli di fase. Quest’ultimi rappresentano delle interferenze al piano d’azione, implicite allo svolgimento del processo, che si rivela essere una conferma del passaggio da una fase all’altra del percorso di cambiamento.

Gli ostacoli di fase rappresentano pertanto indicatori di riuscita, cioè prove del percorso realizzato nell’attuazione del piano d’azione. Così come in ogni ambiente vi possono essere ostacoli e barriere per il raggiungimento del risultato, analogamente possono esistere una serie di potenziali facilitatori che possono interferire positivamente nell’attuazione del piano d’azione. Nell’ambito dei potenziali facilitatori possiamo distinguere i potenziali alleati.

I potenziali alleati nell’attuazione del piano d’azione, sono soggetti che vanno ricercati negli ambiti relazionali: i componenti familiari, le amicizie, le relazioni di tipo professionale, le conoscenze dirette e indirette.

Questi rappresentano elementi di aiuto. Possono anche diventare alleati di delega, ai quali è possibile delegare una serie di attività per formare il piano d’azione. Una fase determinante al raggiungimento degli obiettivi è denominata quella del feedback di monitoraggio. Daniel Goleman afferma che “chi è capace di prestazioni superiori è abile nel mettere a punto sistemi per monitorare i programmi o assicurarsi una migliore qualità dei dati”.

Per questo motivo, il monitoraggio deve essere effettuato fin dalle prime fasi della messa in atto del piano d’azione, valutando la funzionalità di quest’ultimo rispetto agli obiettivi prefissati. In effetti, quando si viaggia non è sufficiente sapere dove si vuole arrivare, ma occorre anche monitorare costantemente se la rotta intrapresa è quella giusta, oppure se occorre variare sensibilmente la direzione.

In generale, un piano d’azione ben strutturato dirige l’attenzione e l’azione, modula l’energia e l’impegno, aumenta la persistenza, stimola lo sviluppo di strategie appropriate. L’impegno del soggetto nel portare a termine il piano d’azione è legato all’importanza che questo riveste, al grado di attaccamento allo scopo, e alla conseguente determinazione a raggiungerlo nonostante gli ostacoli o le difficoltà del percorso.

Senza l’impegno personale un piano d’azione non può considerarsi tale, poiché l’attività si trasformerebbe in un dovere o in un’adesione acritica e, quindi in ogni caso, non motivante.

Le forze positive sostengono l’impegno del soggetto nel suo percorso verso il raggiungimento degli obiettivi, nutrendo la sua proattività, la tensione allo sviluppo e la perseveranza nel realizzare quanto desiderato.

Quali sono le forze positive? Istinto, carattere, educazione, cultura, imitazione, preparazione, sicurezza, fiducia nel successo, senso di autoefficacia, ecc. sono le forze positive che portano il soggetto a definire prima l’obiettivo e in una fase successiva a elaborare l’azione. Le forze negative, al contrario sono limitanti e portano alla chiusura, all’indisponibilità, all’ansia e all’angoscia, conducendo la persona a una passiva accettazione della realtà.

Quali sono le forze negative? Avversione, imposizione, timore, impreparazione, paura della sconfitta, senso di inadeguatezza, ecc. costituiscono elementi che allontanano la persona dal piano d’azione delineato.

Si deve sempre considerare che i risultati nascono dalla motivazione, intesa come l’espressione dei motivi che inducono a compiere o tendere verso una determinata azione. Senza motivazione l’agire risulta difficile. La sua importanza è data dal fatto che è alla base della maggior parte delle nostre scelte e conseguentemente delle nostre azioni, è l’attività che orienta ogni nostro comportamento associato al bisogno e al desiderio di ottenere qualcosa.

Sono necessarie motivazione e concretezza per rendere possibile e presente ciò che prima era solo futuribile. Quando si sviluppa un piano d’azione, emergono ostacoli non previsti e, per quanto il piano d’azione sia accurato, nel momento della sua realizzazione possono emergere elementi che portano ad una revisione dello stesso. Ma quando si è motivati e consapevoli di ciò che si desidera raggiungere, allora nessun ostacolo potrà interrompere il flusso delle azioni programmate.

Anzi ogni ostacolo verrà riconosciuto come esperienza d’elevazione, come possibilità di rivedere il proprio piano d’azione senza rinunciare a quanto si era programmato. Immaginare, pensare, ricordare non basta senza l’impegno, la motivazione, la pianificazione e l’azione.

Il successo di un piano d’azione è dovuto in larga parte, alla tua abilità di pensare, programmare, decidere e agire. Ogni cambiamento si realizza attraverso l’autodeterminazione e l’effettiva volontà di trasformare il pensiero in azione: è questo uno degli aspetti che probabilmente più caratterizza e rende efficace il metodo del coaching.

Come afferma Edoardo Bellotti, Executive Coach e Master Trainer, “i piani d’azione sono figli degli obiettivi che dovrebbero essere figli della visione che spesso è orfana dello scopo”. Alcune aziende hanno una visione, un’immagine di dove vogliono andare. Richard Wayne Bandler, il cofondatore negli anni Settanta insieme a John Grinder della Programmazione linguistica (PNL) parla di direzione, quasi tutte le aziende hanno obiettivi (fatturato, numero di pezzi venduti, profitto ecc.) e solitamente ci sono piani d’azione (fatti più o meno bene), pochissime aziende si focalizzano sull’elemento prioritario e cioè sullo scopo, sul perché.

Se manca il motivo, se manca il perché, oppure se c’è ma non è condiviso dai collaboratori, manca l’ingrediente più importante per portare a termine qualsiasi piano d’azione.

Nel libro bestseller internazionale dal titolo “partire dal perché” Simon Sinek descrive quanto sia importante per le aziende partire dal perché.

“Coloro che fumano sanno che non dovrebbe farlo, coloro che non fanno sport sanno che dovrebbe muoversi per la loro salute. Non è semplicemente un nuovo piano d’azione ben fatto che li aiuterà a cambiare le loro azioni abituali”. Ci vogliono i perché! Ogni risultato cui aspiriamo inizia allo stesso modo: con un perché e una decisione conseguente. Proviamo da domani, prima di impostare il nostro piando d’azione, a partire dal perché!

Roberto Pregliasco