Delegare per crescere

 

di Roberto Rasia dal Polo

Iniziare un percorso di delega implica: formare una risorsa a lungo termine e pianificare un percorso di crescita, creando così motivazione e fidelizzazione.

Uno dei limiti più grandi di moltissimi imprenditori, grandi o piccoli che siano, è la mancanza di capacità di delega.
Il tema è vastissimo e non può non coinvolgerci, poiché fa parte di uno dei valori più difficili da trasmettere in azienda: la fiducia.
Quando una persona come voi, titolare di un centro ottico o figlio di un fondatore di un negozio, prende in mano la gestione del proprio business, ha una visione diversa da quella di qualsiasi dipendente possa assumere. Intendiamoci, ci sono dipendenti straordinari e ne ho conosciuti parecchi nel vostro campo e ho fatto loro tantissimi complimenti, ma molte altre volte mi sono trovato di fronte a questa critica che proveniva in aula da tanti uomini e donne impegnati ogni giorno all’interno di un negozio: “Io sono motivato, ma il mio titolare non si fida. Quando mi chiede di fare una cosa, poi mi controlla 10 volte mentre la faccio.
La cosa mi mette ansia, capisco che non si fida e questo mi porta all’errore.
Alla fine, commenta dicendomi – io lo avrei fatto così -”.
Analizziamo questo diffuso comportamento con un metodo che (chi mi segue lo sa) mi è molto caro: il punto di vista. Qual è il punto di vista del titolare in questione? Nessuno meglio di lui sa come si fa una cosa nel suo negozio. Si sente (e molto spesso è) il più efficace nel fare le cose. Tende a dare compiti ai propri collaboratori, anche per motivarli, ma poi non riesce a non controllarli, poiché non si fida di loro fino in fondo. Quando il collaboratore sbaglia, il suo capo sbotta e continua a ripetere che non ha nessuno che lo aiuta, che tutti se ne fregano del proprio mestiere e che deve pensare a tutto lui.
Ora giriamo la testa dall’altra parte e occupiamoci del punto di vista del dipendente. Per lavoro viene pagato per occuparsi di una cosa che – per definizione – non è sua, ma che tutti gli dicono dovrebbe gestire come se fosse sua. Quando riceve una delega, è felice perché finalmente può esprimere se stesso e dimostrare il suo lavoro, se non fosse che appena inizia a lavorare su quel progetto, il datore di lavoro gli sta con il fiato sul collo. Il controllo è ansiogeno e lo porta facilmente all’errore.
Lavorare così è un turbamento e diminuisce sensibilmente la motivazione, soprattutto quando giunge il commento del titolare: “Per farlo così, tanto valeva che lo facessi io”. Il dipendente si demotiva, la passione in ciò che fa crolla e il titolare è costretto ai ripari, magando inventando qualche azione di rinforzo aziendale o un corso di formazione per motivare le proprie risorse.
Bene, lo scenario descritto è solo una delle numerosissime varianti di fronte a cui ci possiamo trovare in qualsiasi attività commerciale, così come in azienda. Limitiamoci però a questa ipotesi descritta, da cui cercheremo di trarre qualche insegnamento.
È indubbio che qualsiasi grande imprenditore sia stato nella sua storia anche un ottimo delegatore. Delegare significa innanzitutto sapersi circondare delle risorse giuste, tendenzialmente più brave di sé in un settore verticale.
Poi, occuparsi di loro. E questo non è scontato. Il titolare di un negozio di una certa dimensione o di una catena di negozi non dovrebbe per lavoro occuparsi tanto della gestione operativa del business, fatto salvo un certo coordinamento, poiché dovrebbe avere chi lo fa per lui, un direttore generale, un manager o un COO (Chief Operating Officer). Dovrebbe, piuttosto, occuparsi delle risorse, chiedendosi quale sia il metodo migliore ogni giorno per motivarle e farle crescere. La delega è sicuramente un’arma potentissima, ma nel momento in cui si decide che si affida un compito o un ruolo a una persona, si dovrà pensare ad altro, sapendo che c’è chi si occupa di quell’obiettivo da raggiungere.
Gli si deve lasciare spazio, tempo concordato con degli obiettivi precisi e valutarlo solo alla fine, non ogni 10 minuti. Questo è il punto.
Al termine del suo lavoro, un dipendente dovrà relazionare al titolare, preparare una presentazione in azienda o dei dati in un negozio o, in alternativa, un resoconto a voce. In base a quello il leader andrà a giudicare il risultato finale.
Tutto ciò, almeno in linea teorica, significa delegare una persona.
Ma perché questo regolarmente non avviene e come mai il meccanismo si inceppa due volte su tre?
Ho cercato di analizzare decine di esempi sotto i miei occhi. In quasi tutti i casi la risposta non è una sola, bensì un mix di spiegazioni, di inefficienze e di mancanza di fiducia. Il punto è proprio questo: chi comanda tende per natura a non fidarsi.
Prima di bollare come ingiusto questo comportamento, analizziamolo.
Poiché, se è così diffuso, un motivo dev’esserci.
Chi detiene la leadership gestionale ha un forte potere sugli altri. Chi, invece, è “proprietario” di un’attività o di un’azienda ha qualcosa in più: sente talmente sua l’azienda che ha creato da paragonarla molto spesso a un figlio o a un membro della famiglia.
La conosce come le sue tasche e ne è in realtà gelosissimo. Come si può pensare che affidi parte del suo destino a qualcun altro? Ecco, questo è il nocciolo della questione. Il distacco.
La capacità imprenditoriale di delegare è un distacco, un taglio, un allontanamento da ciò che si sente proprio.
Chi ci riesce ha la strada spianata verso un’attività imprenditoriale sicura e rivolta al futuro. Chi non ci riesce esprime tutto il suo attaccamento e la sua passione per ciò che ha creato ai suoi tempi. Cerco di non dare giudizi su questi due approcci, ma vorrei che rifletteste sulla vostra singola attività, in modo da fare innanzitutto un’autoanalisi che porti a un auto-miglioramento.
So che non è facile in entrambi i casi, ma è necessario un esame di coscienza con se stessi, se la volontà è quella di proiettare l’azienda oltre il presente. Ecco, qui potremmo trovare una possibile soluzione: quando un commerciante, un microimprenditore o un capitano d’industria fondano un’attività da zero, tendenzialmente la seguono in prima persona perché sanno che la prima fase, la cosiddetta start-up, è la più delicata.
Molti, però, si affezionano all’azienda e ai suoi meccanismi così profondamente che ne diventano dipendenti, esprimendo il proprio attaccamento in numerose modalità positive e anche con qualche limite, vedi l’incapacità di delegare, un grandissimo classico delle aziende di tutto il mondo.
Se, invece, fin dall’inizio, creando un’attività, ci si ponesse l’obiettivo del domani ovvero di una visione a lungo termine, ecco che sin da subito sarebbe possibile programmare una pianificazione dei tempi oltre che delle azioni.
Un uomo solo al comando non può andare oltre certi livelli di performance. Se le ambizioni sono alte, quel centro, quell’attività commerciale o quell’azienda dovrà poter contare su una serie di persone in grado di sostituirne altre.
E qui ci imbattiamo in un eterno problema di business: è un bene o no che le persone siano sostituibili in azienda? La teoria dice di sì, con buona pace di chi crede il contrario, ma affinché questo sia possibile in un’organizzazione complessa bisogna poter contare su una serie di processi ben delineati.
Questo rappresenta uno dei più diffusi problemi oggi presenti sul mercato.
Se nel vostro negozio c’è una sola persona che si occupa per esempio di amministrazione e alla domanda “come mai?” voi rispondete “perché è la più brava, l’unica in grado di fare quel lavoro”, sappiate che questo rappresenta un punto debole e non di forza. Attenzione, sono ben lontano dal sostenere che ogni risorsa debba essere sostituibile, anzi, sto cercando di delineare un’area di comfort della vostra azienda dentro a cui non cadere nella tentazione di ritenere un’area specifica appannaggio di una sola persona.
Mi è capitato di vedere negozi letteralmente paralizzati nella loro attività poiché la persona di riferimento era assente o impegnata in altre attività. È assurdo questo, non può capitare in un’organizzazione che abbia l’ambizione di chiamarsi tale!
Ritengo che siate d’accordo, a questo punto del ragionamento, nel dare alla selezione iniziale delle risorse un’importanza straordinaria.
Da una parte questo e dall’altra la formazione, questa grande assente nei centri ottici. Sì, perché se parliamo di formazione tecnica, siamo tutti campioni del mondo, con un know how approfondito e futuristico, ma quando tiriamo in ballo le famose soft skills, sono dolori. Assumere una persona o un collaboratore non significa aver trovato la persona giusta a cui delegare un compito e basta.
Significa, invece, iniziare un percorso di delega che implica la formazione di quella risorsa a lungo termine, pianificare un percorso di crescita, creando in lei motivazione e fidelizzazione.
Significa in definitiva fidarsi di lei, consci del fatto che chiunque può sbagliare, ma anche che se vogliamo motivare una persona, non c’è metodo migliore di farla sentire importante e parte di un meccanismo più ampio.
Dobbiamo preoccuparci delle cose quando vanno bene perché, se lo facciamo quando vanno male, sarà ormai troppo tardi. Questo vale anche per i nostri collaboratori, che rappresentano il vero capitale di ogni attività, il vero motore. Una tecnologia si può comprare o noleggiare. Il know-how si studia e si apprende. Una persona a cui delegare il proprio business bisogna meritarla.
In questo, la comunicazione può aiutarci moltissimo.
Comunichiamo Amici, non è mai abbastanza!

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