ErgonoTua

di ROBERTO RASIA DAL POLO

Qualche anno fa mi sono imbattuto nella parola ergonomia e sono andato a spulciare la definizione: secondo la IEA (International Ergonomics Association) si tratta di quella scienza che si occupa dell’interazione tra gli elementi di un sistema (umani e d’altro tipo) e la funzione per cui vengono progettati (nonché la teoria, i principi, i dati e i metodi che vengono applicati nella progettazione), allo scopo di migliorare la soddisfazione dell’utente e l’insieme delle prestazioni del sistema. In pratica è quella scienza che si occupa dello studio dell’interazione tra individui e tecnologie.
Ero abbastanza insoddisfatto della definizione perché avevo l’impressione che il termine fosse ormai in uso corrente con un’accezione ben più vasta. Poi, scoprii che nel 1949 lo psicologo K. F. H. Murrell diede al termine ergonomia il significato attuale.
Una disciplina scientifica che si occupa dei problemi del lavoro umano in relazione alla progettazione delle macchine e agli ambienti di lavoro di riferimento. Ragionando sulla difficoltà di spiegare concetti con parole semplici mi resi conto quanto la definizione di ergonomia fosse poco ergonomica! Così, iniziai a covare il sogno di creare una parola per definire tutte quelle pratiche di mala-comunicazione o mala-funzione così frequenti nella nostra vita, finché coniai ergonoTua!
Se l’ergonomia tratta la capacità di interazione uomo-macchine-ambiente in modalità positiva e arricchente, l’ergonoTua, al contrario, è quell’insieme di pratiche che rendono la vita più difficile, sia nell’uso quotidiano sia nella comunicazione. Iniziamo con un esempio: pensate a quando al ristorante andate a lavarvi le mani e tornate al tavolo con tutti gli schizzi d’acqua sul vestito”. È molto irritante e mi domando quale progettista abbia ideato quel sistema lavabo-rubinetto! Si potrebbe proseguire citando esempi di sedie scomode, maniglie.
improbabili, auto con comandi introvabili, uffici troppo bui o troppo luminosi e così via, ma questo non è il nostro campo. Proviamo a prendere lo stesso concetto e applicarlo alla comunicazione per le vendite. L’intelligenza del messaggio e la funzionalità della sua forma possono essere definiti come comunicativamente ergonomici mentre, al contrario, quando il messaggio non è chiaro, la grafica orribile, la forma linguistica incomprensibile (o sbagliata) sono decisamente ergonoTua! Non appartengono al mondo del buon senso, ma a una comunicazione superficiale che non approfondisce, che perde occasioni d’oro per attrarre clienti, per farsi capire, sedurre o vendere.
Ho raccolto per voi un paio di esempi utili per comprendere al meglio questo concetto.
Si tratta di esercitarsi nell’osservazione del nostro ambiente, ricco di occasioni spesso non sfruttate.
Portare avanti questo esercizio con costanza aiuta tantissimo a migliorare anche la propria comunicazione e performance, grazie anche agli errori degli altri.
Sulla vetrina ordinata di un negozio di ottica di Bologna ho trovato un biglietto che, con bella grafia, riportava: “Ci rivediamo martedì mattina!”.
Un messaggio ‘ergonomico’ che ha sostituito l’inflazionatissimo messaggio di ergonoTua: “Chiuso fino a martedì mattina”. Capite che c’è una bella differenza! Nel primo caso, innanzitutto, il messaggio è positivo e punta sul fatto che martedì il negozio sarà aperto e pronto ad accoglierli. Nel secondo l’accento viene posto sulla chiusura (messaggio negativo) e la forma è decisamente ingessata.
Il 19 dicembre scorso ho scritto un’email a un amico anticipando una novità importante e chiedendo in modo gentile se avesse voglia di dedicarci un pranzo che mancava da un po’ nelle nostre agende. La risposta è stata: “Ciao, sono già al 14 di gennaio con l’agenda degli appuntamenti. Chiamami dopo il 15”. Ora, a parte la maleducazione straordinaria nel rispondere con questo tono a un amico di vecchia data, concentriamoci sul linguaggio. “Sono già al 14 con l’agenda..”. Significa la tua richiesta mi scivola addosso, anzi forse mi dà pure fastidio. Che tu abbia una bella novità da condividere con me non mi tange minimamente. Invidia? Può essere. Poi, la chicca finale “Chiamami…”. Mai usare l’imperativo con gli altri: pare una sfumatura, ma è tutto! Ultimo esempio tratto dalla realtà: Giorgia, una mia amica, è entrata in un negozio di arredamenti di Parma, per un preventivo per la sua cabina armadio di Milano. La signora che l’ha accolta è stata abbastanza gentile, ma di fronte all’ipotesi di dover arredare “solo” una cabina armadio a Milano ha messo le mani avanti sui costi. Senza sapere chi fosse la mia amica, la sua capacità di spesa o di risparmio. Giorgia ha dovuto insistere per farsi mandare un preventivo che, non essendo mai arrivato, ha richiesto una (gentile) email di sollecito.
La risposta clamorosa: “Buongiorno Signora Giorgia, come le avevo detto non penso che le convenga acquistare a Parma per Milano. In questo particolare momento non riesco a fare consegne fuori città ed essendo sola in negozio non ho tempo per farle un’offerta, che come mi ha già detto farà fare da un falegname. Mi scuso per non avere risposto alla sua mail. Penso comunque che in qualsiasi negozio di mobili milanese potrà trovare quello che cerca. Auguro comunque un sereno Natale e un felice 2018 a lei e alla sua famiglia. Tiziana”.
Quando ho letto lo scambio di email non ci volevo credere! È proprio indicativo di una fetta di lavoratori che non si accorgono che il mondo è cambiato, che ha una velocità doppia rispetto a prima e che chi rimane indietro si estinguerà senza alcun dubbio.
Serve aggiungere altro? Questa non è ergonomia, ma ergonoTua, cara signora Tiziana e con il suo negozio di arredamenti non voglio avere niente a a che fare. Peccato, tra l’altro, perché vendete cose molto belle.
Comunichiamo Amici, non è mai abbastanza!