Il designer che arriva dalla moda
Il fashion fa parte del suo DNA, l’occhiale ne rappresenta la sua naturale evoluzione.
La congiuntura economica negativa degli ultimi anni ha mutato le scelte del consumatore che, nel mondo dell’occhiale, si è orientato verso prodotti “fuori dal coro”. Da questa riflessione è nato nel 2009 il brand di Alessandro Martire, JPlus.
TI PRESENTERESTI AI NOSTRI LETTORI?
Classe 1971, sono originario di Torino. Mio padre era un sarto specializzato nella produzione di capi di alta moda in pelle e rettili e aveva tra i suoi clienti molte persone facoltose e stravaganti che ritrovavano nel suo laboratorio la possibilità di avere capi super-esclusivi, interamente confezionati a mano.
Ricordo ancora quando avevo 14 anni e un cliente arabo ordinò 17 mantelle da donna, ad ognuna delle quali era stato richiesto di applicare a mano 1700 cristalli Swarosvki a cascata… un capolavoro.
Mia madre lo aiutava e spesso anche io venivo chiamato per dare una mano e guadagnarmi la mia prima paga.
La passione maniacale verso il prodotto moda trasmessami da mio padre mi ha spinto a frequentare l’Istituto d’Arte e Moda a Torino. Per una serie di circostanze ed incontri casuali, mi sono avvicinato al mondo dell’eyewear e me ne sono subito innamorato.
Dopo differenti esperienze commerciali presso i maggiori player del settore, inclusi Luxottica, Safilo e Alain Mikli, mi si è presentata la possibilità di disegnare la prima capsule collection da sole per lo stilista Thakoon Panichgul.
Dopo varie consulenze stilististe, tra cui Moncler, Marcolin e De Rigo, ho conosciuto nel 2005 Ennio Capasa di Costume National il quale mi ha affidato la direzione creativa dell’eyewear (sunglasses, glasses e catwalk), collaborazione ancora attiva.
Nel 2009, dopo un anno di ricerca, ho fondato il mio brand: JPlus.
PERCHÉ HAI DECISO DI CREARE IL TUO BRAND?
La cosa che più mi aveva colpito in quell’anno – quando era appena scoppiata la crisi bancaria americana che a cascata si è poi riflettuta in Europa – era l’aspetto sociale e comportamentale. In Italia, ad esempio, moltissimi ragazzi erano alla ricerca di occhiali vintage.
Ho interpretato il loro comportamento come un desiderio di andare contro un certo tipo di design, di omologazione d’immagine e di globalizzazione. Un po’ di tempo prima avevo letto alcuni libri sulla Beat Generation e tra i suoi elementi c’era il rifiuto delle norme imposte, le innovazioni nello stile, la sperimentazione della sessualità, l’avvicinamento alla cultura orientale e una certa sfiducia verso il modello di capitalismo materico.
Ho pensato che quel pensiero fosse la fotocopia di quello di oggi, ovvero della voglia di cambiare, una chiave di lettura che i grossi player non avevano colto velocemente. Essendo Jack Kerouac uno dei maggior esponenti della Beat Generation, ho pensato di utilizzare la forma della J (tratto colorato posto in basso, sul frontale) come tratto distintivo e il plus per rafforzare questo concetto. Desideravo un segno che lasciasse un’impronta per distinguersi e per essere distinto e che avesse un collegamento stretto verso quel pensiero che veniva dalla strada perché è proprio qui dove il mio marchio attinge ancora la sua ispirazione.
CHE COSA RAPPRESENTA PER TE L’OGGETTO OCCHIALE?
Ho da sempre avuto una certa passione per gli occhiali e per la loro capacità intrinseca di trasformarsi quasi in una seconda pelle. Molti personaggi sono riusciti a diventare delle icone grazie a loro e, forse, sarebbero irriconoscibili senza. Mi ha sempre affascinato la capacità di questo accessorio di riuscire, secondo la scelta delle forme dei colori o dei materiali, a sconvolgere completamente lo sguardo o la percezione di una persona, del suo viso, della sua espressione e addirittura delle sue emozioni.
QUAL È IL MOOD DEL TUO BRAND?
Street-elegance.
COME È ORGANIZZATA LA PRESENZA DEL BRAND SUL MERCATO ITALIANO?
Attualmente abbiamo una forza vendita composta da agenti diretti e siamo presenti in circa 600 negozi di ottica.
QUALI LE ULTIME NOVITÀ?
Abbiamo deciso di concentrarci ancora sul binomio tradizione-tecnologia che, tradotto all’interno delle nostre collezioni, vuol dire inserire elementi o contenuti tecnologici su forme tradizionali. Credo sia una forma di rispetto per il punto di partenza e un desiderio forte di evoluzione.