Nuova Ottica Balestrieri – Una squadra collaudata

Chi conosce il rugby sa che non si vince se non si raggiunge un’armonia che coinvolge tutti i membri. Come all’interno di una famiglia che da sempre lavora insieme.

Nuova-Ottica-Balestrieri_Una-squadra-collaudata_POAvete presente il bellissimo romanzo di Gabriel García Márquez “Cent’anni di solitudine” in cui fai fatica a capire di quale “Aureliano Buendia” si stia parlano?
Ebbene, la storia della famiglia Balestrieri in un certo senso è simile perché tra i loro avi il nome “Ernesto” ricorre più o meno le stesse volte.
Non siamo però nella magica Macondo del nostro immaginario, ma nella realissima Benevento dove Giandomenico e i suoi tre figli Ernesto, Marcello e Roberto gestiscono i due punti vendita della “Nuova Ottica Balestrieri”.
La loro storia nel mondo dell’occhiale nasce quando “nonno Ernesto”, il padre di Giandomenico, di ritorno dalla guerra, inizia a lavorare nel negozio del fratello a Benevento.
Qui apprende tutti i segreti del mestiere in cui l’artigianalità è una delle regole fondamentali.
Nel 1967 decide di intraprendere un’avventura in solitario e fonda il primo negozio con la vetrina “Nuova Ottica Balestrieri”. Ad affiancarlo il figlio Giandomenico e la moglie che, come tutte le donne, diventa il cuore pulsante e l’anima dell’attività. Con gli anni subentrano i tre figli di Giandomenico che, fedeli alla tradizione di famiglia, continuano nel segno dell’artigianalità esprimendola anche attraverso una linea di occhiali in legno, E-Wood, e particolari camici in cuoio.
Comune denominatore delle ultime generazioni è la passione per il rugby, sport apparentemente duro e violento ma catalizzatore di valori fondamentali per tutta la famiglia e per la loro attività professionale quali “lealtà, strategia, capacità di sopportare stress psicologico, ma, soprattutto, voglia di stare in mezzo alla gente, di darsi all’altro senza pretendere nulla in cambio”.
Anche se Giandomenico non ha mai giocato, ma è rimasto dietro le quinte in qualità di dirigente, i figli, primo tra tutti Ernesto, hanno iniziato a praticare questo sport alcuni anni fa. E se ne sono tutti pazzamente innamorati. Non a caso siamo andati a trovarli su un campo di rugby.

Ernesto è un nome ricorrente nella vostra famiglia ed è proprio uno di loro che dà il via alla vostra avventura nel mondo dell’ottica. Ci raccontate le origini della vostra attività?
Marcello. La seconda guerra mondiale è finita. Nonno Ernesto, dopo la terribile esperienza bellica, torna a Forcella, il suo luogo di nascita; sono momenti difficili: ha perduto quasi tutto e, soprattutto, non aveva più nulla da perdere.

Cosa ha da perdere chi ha vissuto la fame, gli stenti e la prigionia?
Ma nonno Ernesto aveva una carta in più: sapeva fare gli occhiali; aveva imparato questo preziosissimo mestiere negli anni `30, presso l’Ottica Cimino di via Roma, dove faceva `o’ `uaglion’. Insieme al fratello lascia Napoli, lascia Forcella, lascia quell’odore tipico dei vicoli bassi che è eternamente presente nelle case, nelle chiese, nelle anime delle persone che ci vivono e che lo portano sempre con sé. Si trasferisce a Benevento dove tutte le mattine percorre 15 km a piedi per raggiungere il negozio che il fratello è riuscito ad aprire dopo immensi sacrifici.

Cosa caratterizzava il vostro avo a livello professionale?
Ernesto. L’artigianalità… il ricchissimo patrimonio che nonno Ernesto ci ha trasferito è un mix di conoscenze e abilità manuali. Il tutto nel rispetto del cliente ma anche dei concorrenti e dei fornitori. Il nonno non amava tantissimo il contatto con il pubblico, preferiva il lavoro di bottega, quello vero, quello quotidianamente a contatto con i materiali e la produzione. Niente lo soddisfaceva maggiormente che realizzare con le sue mani un prodotto. All’epoca le lenti oftalmiche si tagliavano rigorosamente a mano (conserviamo ancora la tronchesina che usava come un prezioso ricordo di quei tempi) e i buchi nelle cerniere si effettuavano con piccoli trapani a corda. Non era per niente facile e ogni giorno si affinavano sempre di più la maestria e la competenza manuale. Se oggi riusciamo a fare tutto nel nostro laboratorio interno e – in alcuni casi – a ricevere dall’esterno commissioni per questi lavori tradizionali, lo dobbiamo proprio al ricco patrimonio di artigianato e tecnica che il nonno ci ha trasmesso!

Giandomenico come ha vissuto da bambino l’attività di suo padre?
Sono nato proprio nel momento in cui è nata l’ottica concepita in senso moderno. Non ho che nostalgici e bei ricordi di mio padre e di mio zio che si davano da fare con entusiasmo e competenza per mandare avanti l’attività commerciale. Mi sembra di rivivere queste memorie nell’odore acre della celluloide degli occhiali surriscaldati o nella brillantezza delle lenti in cristallo che a quell’epoca maneggiavamo. Negli anni Sessanta ho assistito a una vera e propria rivoluzione che ha innovato il modo di essere ottici e produrre occhiali: cominciammo a usare materiali plastici come ad esempio il CR39. Ricordo la difficoltà di trovare in Campania dei fornitori. Il mercato ancora non si era adeguato a questa nuova tecnologia. Con mio padre cominciamo a girare, contattare fornitori dell’Italia settentrionale. Riuscimmo a costruire una rete di contatti diretti in Cadore, territorio che abbiamo girato in lungo e in largo alla ricerca di nuovi e proficui contatti (ad esempio la famiglia Frescura della ditta Farben con cui lavoriamo ancora) e di cui non dimenticherò mai i bellissimi panorami.Ancora oggi, se scavo nei vecchi cassetti trovo lenti in vetro Galileo, uno dei più importanti produttori a livello mondiale di lenti oftalmiche con cui instaurammo un rapporto basato sulla reciproca affidabilità, competenza e professionalità.

Giandomenico come si è sviluppata negli anni la passione per l’ottica?
Per molti anni, quasi fino agli inizi degli anni Novanta, ho gestito l’attività con mio padre e mia madre. Si dice che “dietro un grande uomo ci sia una grande donna”… sembrerà banale ma calza a pennello per la mia famiglia. Mia madre Rosa era partita da Remedello (provincia di Brescia) e si era trasferita per amore prima a Napoli e poi a Benevento. Dalla vita contadina e dal profumo di granturco era stata catapultata in questa nuova avventura commerciale. È andata incontro all’ignoto, all’inatteso ma ha saputo, con la sua serietà e semplicità e con i valori rurali che si portava dietro, inquadrare l’attività con regole di gestione rigorosa che ancora oggi rispettiamo e coltivare rapporti con i clienti grazie alla sua naturale e disarmante inclinazione ai rapporti umani. Sarò sempre grato loro per i sacrifici che hanno fatto permettendomi di studiare a Firenze presso l’Istituto Arcetri per due anni. Sono stato privilegiato: ho potuto fare lo studente in sede dedicando anima e corpo alla formazione di ottico optometrista.

Nel 1967 suo padre apre la “Nuova Ottica Balestrieri” a Benevento. Perché ha deciso di intraprendere una strada in solitaria, separandosi dal fratello con cui peraltro è rimasto in buoni rapporti?
Semplicemente perché i rapporti familiari, così come quelli professionali si evolvono. Nel giro di qualche anno cambiano le esigenze e le aspettative. Le famiglie si allargano con matrimoni e nascite e i rapporti professionali si rinnovano e si reimpostano su nuove basi. La separazione non è avvenuta certo per discordanze e ciò giustifica l’inalterato rapporto familiare che rimane solido.

Attualmente come vi dividete i ruoli all’interno del vostro punto vendita?
Giandomenico. Abbiamo impostato la nostra gestione sull’intercambiabilità: tutti devono saper fare tutto. Di fronte a una certa dinamicità del mercato, abbiamo cercato di impostare il nostro lavoro sentendoci membri del gruppo, accettando il rispetto di alcune regole familiari e non; tutto ciò ci ha permesso di andare incontro non solo alle attività pianificate ma soprattutto a quelle non pianificate. Posso tranquillamente affermare che l’organizzazione informale è il nostro punto di forza.Tuttavia abbiamo delle naturali predisposizioni e sensibilità differenti. Io, ad esempio, mi “godo” l’età della pensione facendomi carico della gestione amministrativa. A Ernesto è demandato il compito di portare avanti l’aspetto tecnico del laboratorio: è lui che taglia lenti, ripara saldature… Per i miracoli ancora non è attrezzato, ma riesce a riparare anche l’irrimediabile! Marcello si occupa della contabilità e del rapporto con il cliente, mentre Roberto è un po’ il cool hunter del gruppo: curioso di natura e dotato di spirito di osservazione, si lascia ispirare dalle nuove tendenze, viaggia molto alla ricerca di informazioni e contatti e, non ultimo, si occupa della comunicazione tramite i social network. Spesso per le piccole realtà di provincia come la nostra si fatica a pensare che sia tutto così complesso e invece lo è: gestire la burocrazia, gli adempimenti fiscali, i clienti, i contatti con i fornitori e con gli enti locali. Non sarebbe affatto semplice se non ci sentissimo parte di un gruppo!

Quali sono le caratteristiche personali che ciascuno di voi ha portato nella vostra attività?
Giandomenico. Credo di riuscire a intrattenere con simpatia e cordialità le persone di una certa età. A volte capito sotto tiro di chi mi racconta i suoi guai e le sue disavventure.A volte trovo qualcuno bisognoso solo di una chiacchierata. Marcello. Il mio punto di forza è la puntualità non solo intesa come orari di apertura e chiusura dell’attività ma, in senso ampio, come rispetto delle scadenze: in qualsiasi momento so chi deve pagare e chi deve essere pagato. Ernesto. Punto sulla precisione: nel corso degli anni ho sviluppato una certa professionalità manuale non solo per via della formazione ottica ma anche per i precedenti studi di elettrotecnica e meccanica. A ciò si aggiunge la curiosità che sin da piccolo mi ha spinto a coltivare l’elettronica, la falegnameria, la verniciatura (la mia stanza era già un laboratorio!). Tutte attività manuali che rendono il prodotto unico.Tanto per fare un esempio,monto i glasant con un trapanino manuale ma,al tempo stesso,ho costruito un trapano computerizzato per l’incisione di piccoli oggetti. L’anno scorso, in occasione delle festività natalizie, sono riuscito a realizzare per centinaia di clienti un piccolo gadget: un occhialino in legno da utilizzare come portachiavi. Roberto. Sono un eterno sognatore e cerco di trasmettere un po’ della mia fanciullesca follia ai clienti. Per me ogni occhiale, anche quelli prodotti in serie e tutti uguali, ha una sua storia che merita di essere vissuta insieme con la vita di chi lo indosserà. Ognuno di noi ha le sue caratteristiche e le sue doti, così come le sue debolezze, ma c’è un punto di forza che ci accomuna: la semplicità.

L’artigianalità caratterizza la vostra attività fin dagli inizi. Ci raccontate come l’hanno vissuta i vostri avi e come la state vivendo?
Marcello. Come abbiamo detto prima, dobbiamo al nonno Ernesto prima e a Giandomenico poi, l’averci trasmesso unitamente alle competenze, la passione e, perché no, anche l’ambizione di svolgere bene un lavoro per il cliente. Se non mettessimo cura in quello che facciamo ci sembrerebbe di non comunicare al cliente. Oggi cerchiamo di portare avanti questo ricchissimo patrimonio di craftsmanship combinando il recupero delle antiche tradizioni artigiane con l’attenzione al riuso, al riciclo e alla compatibilità ambientale di componenti e materie prime.

All’interno dei vostri negozi usate un `camice’ particolare.Ci raccontate come è nata l’idea di crearlo?
Roberto. Ancora una volta nasce dalla voglia di differenziarci. Il classico camice bianco da dottore ci stava stretto e non solo in senso fisico ma anche metaforico: non siamo medici anche se qui al Sud, non appena vedono un camice bianco ti chiamano immediatamente dottore con riverenza e timore,chiedendoti consigli che vanno oltre le tue dovute responsabilità e competenze! E per questo mi sono messo alla ricerca di un prodotto che fosse originale e che al tempo stesso parlasse di noi e della nostra storia, un qualcosa che fosse espressione della nostra immagine e di quello che volevamo comunicare al cliente. Ci è venuto in mente in modo immediato il classico grembiule da artigiano, quello che troviamo nel laboratorio del calzolaio piuttosto che in quello del sarto.Ne abbiamo comprati diversi on-line e poi li abbiamo fatti personalizzare da un’amica sarta e ricamatrice. All’inizio pensavamo che questa nostra scelta inusuale potesse anche far sorridere i clienti, invece in tanti ci fanno i complimenti per l’originalità chiedendoci da dove vengano i nostri grembiuli.

Ci descrivereste i vostri punti vendita a livello di servizi e brand proposti? Qual è la vostra peculiarità?
Roberto. Innanzitutto abbiamo i classici intramontabili e qualche griffe: fuori c’è un mondo di clienti vario con esigenze sempre più specifiche e dobbiamo poterli accontentare. La nostra passione, però, sono i prodotti artigianali a cui cerchiamo di aggiungere sempre un contenuto tecnico di altissima qualità. Per questo lavoriamo anche con Vega Occhiali, (Lightec, Stepper, Marius Morel) che distribuisce nomi altamente qualificati nel campo. Un altro fiore all’occhiello sono i nostri housebrand; abbiamo diverse linee per tutti i gusti tra cui ad esempio Ecopop (economico e popolare), prodotto che importiamo dall’America e che brandizziamo con il nostro logo. Cerchiamo di coniugare moda, tendenza, e prezzo accessibile soprattutto per i più giovani. Siamo anche orgogliosi di LOI Laboratorio Occhialeria Italiana, occhiali fatti a mano da mani italiane e Ewood, i nostri occhiali di legno; entrambi i concept esprimono la connotazione più profonda di resistenza di fronte all’omologazione della globalizzazione. Anche gli astucci sono espressione della passione per l’artigianalità: li facciamo produrre in pelle da un calzolaio di nostra fiducia e abbiamo un tappezziere che ci fornisce i ritagli delle pelli. Ogni occhiale diventa così unico come unico è chi lo indossa.

Ernesto Ewood è una sua creazione… Ci parlerebbe di questa collezione e dell’artigianalità che la caratterizza?
Di recente abbiamo lanciato una linea di occhiali per uomo e per donna interamente fatta a mano con materiali naturali (legno) e trattati con elementi naturali (cera d’api). Con molta soddisfazione devo dire che abbiamo incontrato un grande apprezzamento da parte del mercato anche per gli accessori, come ad esempio gli astucci, che abbiamo lanciato unitamente agli occhiali. Questo aspetto, insieme all’assistenza post vendita, rendono il prodotto particolarmente qualificato.

Perché avete scelto il legno?
Perché il legno è un materiale naturale, caldo e sostenibile. Dunque intramontabile.

A quale target si rivolgono?
L’occhiale in legno fatto a mano si rivolge a quel cliente attento alla personalizzazione sin dalla fase di realizzazione e prototipazione, a cui piace essere coinvolto nella produzione in modo da poter scegliere forme, colori, caratteristiche. Tutto ciò aumenta senza dubbio la soddisfazione per l’acquisto.

Il rugby è lo sport di famiglia. Come e perché vi siete avvicinati a questa attività?
Ernesto. È una lunga storia.Tutto nasce con il mio docente di educazione fisica delle scuole medie che era un grande giocatore di rugby. Mi invitò ad andare agli allenamenti, così anche senza scarpe chiodate, solo per la curiosità di vedere come si giocava. Ricordo che mia madre all’inizio era molto contraria ma vedendo il mio entusiasmo, si convinse a comprarmi quelle scarpe.Il rugby mi ha permesso di viaggiare e incontrare tante belle persone tra giocatori, allenatori e personale dello staff. Naturalmente ho fatto da traino ai miei due fratelli minori e anche a mio padre che si è appassionato alla dirigenza sportiva e, inevitabilmente, anche nostra madre che è diventata, insieme alla sua lavatrice, la nostra tifosa più accanita. Nel corso degli ultimi due decenni ha visto crescere tanti giovani, li ha spinti a dedicarsi con passione a questo sport allontanandosi da tante deviazioni adolescenziali. Di questo, come figlio, sono davvero orgoglioso e, perché no, chissà che non decida di seguire le sue orme…

Quali sono i valori del rugby che condividete? Perché?
Marcello. Il rugby è aggregazione, spirito di squadra, lealtà, strategia, capacità di sopportare stress psicologico, ma soprattutto è voglia di stare in mezzo alla gente, di darsi all’altro senza pretendere di ricevere nulla in cambio. Direi che lo spirito del rugby e il nostro modo di condurre l’azienda familiare: un po’ si somigliano!