Ottica De Lorenzo – Dario e Aldo De Lorenzo – Accendete i motori

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“Nel deserto non ci sono differenze sociali, di colore o età. Si è tutti uguali.”

Figli di Mario De Lorenzo, storico professore e Preside dell’ITIS e della scuola di ottica Brustol di Pieve, i gemelli Aldo e Dario De Lorenzo iniziano il loro cammino presso la Rodenstock di Milano.
Il primo ad “assaporare” la professione di otticooptometrista è Dario che inizia lavorando presso un negozio a Padova. La forte unione che li caratterizza li spinge a ricongiungersi: Aldo lascia il ruolo di dirigente presso la Rodenstock e si trasferisce a Padova per supportare il fratello nella gestione amministrativa del loro primo negozio. Era il 1983 e negli anni successivi sono riusciti ad aprire altri due punti vendita, uno sempre a Padova e uno a Noventa Vicentina (Vicenza).
La loro grande passione ruota intorno al mondo dei fuoristrada e all’avventura.
Una passione affrontata agli inizi sotto forma di viaggi turistici e successivamente, grazie all’esperienza accumulata, li ha portati a cimentarsi in gare internazionali d’altissimo livello, quali la Parigi Dakar. La storia e i loro successi hanno come fulcro la loro unione che li ha portati addirittura a cancellare dal vocabolario il pronome personale “io” per sostituirlo con “noi”.

Siete gemelli anche nelle scelte lavorative: perché l’ottica?
Dario. Pieve di Cadore, la nostra città natia, oltre ad essere la patria dell’occhiale, è la sede dell’Istituto Brustolon che è ospitato nel palazzo dell’ITIS. Abbiamo deciso di frequentarlo per un motivo piuttosto banale: mia madre era stanca di lavare camici neri (mio padre insegnava all’ITIS dove, appunto, venivano indossati camici di quel colore), mentre nella scuola di ottica i camici erano bianchi!

Cosa ha significato per voi frequentare l’istituto dove vostro padre insegnava ed era il Preside?
Dario. In realtà è stato così intelligente da non “fare pesare” il suo ruolo. Siamo stati semplicemente due studenti, come tutti gli altri.
Aldo. I “vantaggi” se così possiamo chiamarli, sono arrivati postumi. Tutti gli attuali produttori di occhiali del Cadore hanno frequentato l’ITIS e sono stati alunni di nostro padre. Quando abbiamo aperto il nostro primo negozio ci sono venuti incontro economicamente e ci hanno permesso di avviarlo senza problemi.

Ci sono escamotages comuni tra i gemelli monozigoti quali ad esempio scambiarsi in situazioni difficili… magari per affrontare una verifica: vi è mai capitato?
Aldo. Eravamo in terza media e ho preso 7 in fisica. Poi l’insegnante ha chiamato Dario per interrogarlo dicendo: “Ora viene tue fratello così non mi fregate”. In realtà ho fatto il giro del banco e sono andato alla lavagna prendendo ancora 7. La classe si era però accorta e, ovviamente, ridevano tutti!

È curioso che ambedue siate poi approdati in Rodenstock in qualità di responsabili per la produzione delle lenti. È stato un caso?
Dario. No, un collega di mio padre, Emilio Ciliotta, era Direttore Italia della Rodenstock di Milano e ci ha chiamati.
Aldo. Era comunque normale che le aziende quando avevano bisogno di personale interpellassero la nostra scuola.

Poi le vostre strade si separano…
Dario. Mentre lavoravamo mi sono specializzato in optometrista e Aldo è diventato responsabile delle lenti per la Rodenstock. Ad un certo punto, una nostra cliente mi ha chiesto di gestirle un punto vendita a Padova e ci siamo “divisi” per tre anni. Volevo acquistarlo ma non ci sono riuscito, quindi ne ho aperto uno sempre a Padova nel 1983. Ma avevo però bisogno di qualcuno che seguisse la parte economica. Aldo ha lasciato Milano il suo ruolo di dirigente ed è venuto ad aiutarmi.

Quando e perché avete deciso di riunirvi professionalmente?
Dario. Dopo cinque anni mio fratello ha aperto un altro negozio di ottica con la stessa insegna, Ottica De Lorenzo.

Quanti negozi avete e come vedono gestiti?
Aldo. Due negozi a Padova, uno in centro gestito da Dario e Donatella, e uno che gestisco con Daniela. Abbiamo aperto un terzo negozio a Noventa Vicentina con Paola, l’attuale compagna di Aldo e sua figlia Carlotta.

Le vostre strade sono unite anche per quanto riguarda la vostra principale passione: i fuoristrada. Com’è nata?
Dario. Abbiamo iniziato negli anni Novanta con viaggi organizzati con i fuoristrada in Africa. Per un buon decennio abbiamo fatto i turisti a bordo delle nostre jeep visitando tutto il Nord Africa con puntate in Siria, Giordania, Turchia e Grecia. Col tempo abbiamo accumulato esperienza nell’affrontare disagi e percorsi su sabbia. Nel 1999 la nostra meta è stata il Deserto Bianco (Egitto): eravamo 100 persone divise in 50 autovetture.
Dopo alcuni giorni nel mezzo del deserto, due auto a causa di problemi meccanici, hanno rallentato la spedizione.
L’organizzazione ci ha chiesto se ci sentivamo di “scortare “ i mezzi incidentati e, una volta riparati, ricongiungersi con il gruppo. Non aspettavamo altro! Il grosso del gruppo ha proseguito, noi abbiamo atteso la sistemazione delle vetture per poter continuare e festeggiare il Capodanno insieme alle altre jeep. La notte successiva le auto erano pronte e abbiamo deciso di partire con il buio, anche se ci era stato consigliato di attendere la luce.

Come è proseguito il viaggio?
Aldo. Abbiamo viaggiato tutta la notte, la nostra auto, le due riparate e il camion officina. Ci siamo trovati di fronte ad una duna difficile da superare ma, dopo alcune ore, ci siamo riusciti. A quel punto ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti: “Il prossimo anno partecipiamo alla Parigi-Dakar”. E così è stato. Il giorno successivo abbiamo festeggiato con tutto il gruppo il Capodanno più speciale della nostra vita.

Ci raccontereste come vi siete preparati per questa prima esperienza che si è tramutata in “abitudine”?
Dario. Nel 2000 abbiamo acquistato la prima Toyota e l’abbiamo preparata, il 26 dicembre 2001 ci siamo presentati alle verifiche a Parigi. Inconsapevoli della follia che ci attendeva siamo partiti, convinti che bastasse l’esperienza di guida, mentre la Dakar è soprattutto una gara di organizzazione.

Quali sono state le prime difficoltà?
Aldo. Dopo alcune tappe, la nostra poca organizzazione è venuta a galla: abbiamo avuto problemi con il cambio e la frizione. Ci siamo fermati nella capitale della Mauritania, fuori classifica, ma felici; comunque siamo arrivati a Dakar per festeggiare. Abbiamo realizzato il nostro grande sogno. Negli anni successivi, ci siamo affidati a team italiani ufficiali e abbiamo partecipato ad altre cinque edizioni. Tutto è stato più semplice: avere al bivacco un camion con meccanici che riparano nella notte la vettura rendono 600 km al giorno per 18 giorni più sopportabili. Nel 2005 siamo arrivati 31° su 300 vetture e primi tra gli italiani. Un ottimo risultato se pensiamo che abbiamo gareggiato contro i “colossi”.
La nostra macchina ha un valore di 50 mila euro, mentre le vetture ufficiali costano milioni di euro. Abbiamo due camion in assistenza, uno che ci aspetta in fondo alla gare e uno che ci attende al bivacco, le altre 33 camion ogni tre macchine. Noi abbiamo un autista e un meccanico, la Mitsubishi, ad esempio, 168 meccanici.

Avete gareggiato anche in altri circuiti?
Negli anni successivi ci siamo impegnati sempre in gare a livello mondiale, ad esempio abbiamo fatto 13 volte il Rally del Faraoni.

Quale sarà la prossima “follia”?
Stiamo organizzando per il 2015/2016 la partecipazione alla Dakar sudamericana. Una bella sfida!

Vi state già preparando?
Certo e siamo già in ritardo. La partenza è prevista il 1 gennaio 2016. Stiamo cercando però un collega-pilota che ci aiuti a dividere le spese.