Perdersi nel Nulla


di ROBERTO RASIA DAL POLO

Uno dei più frequenti lati deboli delle risorse che lavorano in azienda è la capacità di – come si suol dire – perdersi in un bicchiere d’acqua.
La metafora che si usa nel linguaggio comune è in questo caso decisamente esplicativa: di fronte a un problema complesso, la mente umana è chiamata a una profonda elaborazione della situazione, a un’analisi attenta delle difficoltà e alla creazione di vie di uscita non convenzionali. Questo processo necessita numerose skill, da una minima lucidità mentale fino all’utilizzo del cosiddetto pensiero laterale.
Tuttavia, non stiamo parlando di un’attività dedicata solo ai premi Nobel. Le aziende non sono fatte di geni e di talenti, contrariamente a quanto si dice superficialmente, bensì sono fatte di persone normali, come tutti noi.
Ciò che, però, è facile constatare in azienda è che, di fronte a un problema neanche troppo complesso, molte persone perdono la propria capacità di visione globale della realtà e, letteralmente, si perdono nell’analisi di un aspetto del tutto secondario, privo di importanza.
Andiamo oltre, capita abbastanza spesso che laddove non ci sia alcun problema alcune persone riescano a trovarne uno e ad annegare in esso, portando nel baratro tutto ciò che di buono hanno intorno.
Cerchiamo di analizzarne i motivi.
Partiamo dal presupposto che sia realistico quello studio che sostiene che, di fronte a un problema, il 95% delle persone si concentra sul problema e solo il 5% sulla sua soluzione. Se un giorno in negozio accade un imprevisto che può rovinarvi la giornata di lavoro, fate attenzione ai pensieri vostri e dei vostri uomini.
La maggior parte di essi saranno dedicati allo sconforto di fronte a quell’imprevisto. Fermiamoci un attimo: qual è il vantaggio di questo approccio istintivo? Assolutamente nessuno, se non quello di ingigantire il problema stesso e allontanarsi dalla sua potenziale soluzione. Se di fronte a quell’imprevisto la disperazione e lo sconforto lasciano il posto alla volontà di concentrarsi e farsi la domanda giusta, allora la soluzione sarà più vicina. Ancora una volta, dunque, è questione di porsi le domande più idonee.
È inutile continuare a fissarsi su quesiti come: “Ma che sfortuna, perché è successo proprio a noi?” oppure “ Ma si può essere più sfigati di così? Chissà che danno avrà il nostro negozio?”. Se c’è un modo per risolvere il problema, lo si può cercare attraverso l’utilizzo di domande potenzianti, anziché limitanti.
Per esempio: “Visto che la situazione è difficile e non posso fare nulla per cambiarla, qual è la cosa più intelligente che io possa fare adesso?” e ancora “Stando così le cose, chi posso chiamare per farmi dare una mano?” o, infine, “C’è qualche aspetto di questa situazione negativa che sto tralasciando e che potrebbe tornarmi utile?”.
È evidente che non è sufficiente farsi le domande giuste per avere la certezza di risolvere l’intero problema, ma almeno indirizzare lo sguardo verso la direzione corretta è il minimo che si possa fare per non perdersi in un bicchiere d’acqua. Ricordo sempre, in questi casi, ciò che insegnano gli istruttori durante i corsi di guida sicura in pista.
Quando l’auto perde aderenza e va verso il guard rail o il muretto, il pilota è portato istintivamente a guardare il muretto che gli arriva addosso. Sono centesimi di secondo lunghissimi, durante i quali il pilota, preso dal panico, rimane paralizzato, poiché il suo sguardo è volto al problema, cioè al muretto in arrivo.
Al contrario, in pista durante i corsi, attraverso esercizi mirati, si insegna a distogliere lo sguardo dal muretto in arrivo e puntare lo sguardo sulla pista dove si vuole tornare.
Il cervello a quel punto, in modo automatico, farà tutto ciò che è in suo potere per suggerire al nostro corpo la manovra giusta per uscire da quell’impasse e far tornare l’auto sulla traiettoria giusta. È evidente che se è troppo tardi, ormai, non sarà possibile fare nulla, ma volgere lo sguardo nella direzione in cui si vuole andare molto spesso fa la differenza fra andare contro un muro e riuscire a recuperare il controllo dell’auto.
Mi piace pensare che lo stesso atteggiamento possa essere utilizzato in negozio, in un’attività commerciale o in azienda, laddove alcune risorse umane siano istintivamente portate a scegliere la direzione sbagliata.
Essere focalizzati e concentrati verso un’unica meta consente a un gruppo di lavoro di fare miracoli e di ottenere risultati di gran lunga superiori a quelli che il nostro fallace istinto ci consente anche solo di desiderare. Provateci. La prossima volta che, di fronte a una difficoltà, l’istinto vi suggerirà di fare un’azione, fermatevi e pensate.
È quell’azione davvero la migliore che voi possiate fare in quel momento?
Comunicate amici, non è mai abbastanza!