Qual è il tuo talento?

di Roberto Rasia Dal Polo
Tratto dal libro di Roberto Rasia dal Polo: “Conduci la tua vita!” in vendita su www.robertorasia.it

Spesso ci capita di trovarci in situazioni che apparentemente sono complesse da gestire, come avere a che fare con un cliente timido che non sa decidere oppure con un altro nervoso che vuole avere ragione su tutto senza ascoltare i vostri preziosi consigli.
Talvolta riusciamo a governare questi momenti in modo molto semplice, altre volte perdiamo anche noi il controllo della situazione e cerchiamo di gestirla al meglio delle nostre capacità.
Vi siete mai chiesti perché viene più facile essere padroni della situazione in una circostanza piuttosto che in un’altra? Ebbene, si tratta del proprio talento. Tutti ne siamo provvisti fin dalla nascita, alcuni ne hanno più di uno, altri invece non riescono a capire quale sia il loro. Il talento è dote e, se non c’è, non si può apprendere.
È un’inclinazione più profonda di una capacità, più radicata di una passione e non è possibile clonarla, dal momento che è parte della sfera più intima di una persona. Il talento viene dal greco tàlanton che significa “piatto della bilancia”, “somma di denaro”, “peso”.
Inizialmente, acquisì il senso di inclinazione, proprio quello dell’inclinazione della bilancia e successivamente venne diffuso col significato che conosciamo oggi attraverso la parabola evangelica dei talenti. Il significato di unità di peso e di somma di denaro ci chiarisce alcune caratteristiche di questa parola: un talento, in Grecia, era una moneta di metallo prezioso che corrispondeva a più di venti chili d’argento.
Una ricchezza ingente, che oggi viene vista come un valore importante su cui investire. La parabola evangelica dei talenti ha diffuso il significato di talento come lo intendiamo oggi.
Il racconto proviene dal Vangelo di San Matteo: un uomo parte per un viaggio e affida ai suoi tre servi parte delle sue ricchezze. A uno dà cinque talenti, a uno tre, all’ultimo uno. I primi due, durante l’assenza dell’uomo, si danno da fare per far fruttare quanto ricevuto, l’ultimo invece lo va a nascondere. Al ritorno del padrone i primi due gli restituiscono la somma raddoppiata, ricevendo grandi lodi.
Il terzo servo presenta il talento che aveva tenuto nascosto, ricevendo una severa censura. E poiché alla fine di ogni parabola allegorica c’è sempre una morale, questo racconto vuole esplicitamente significare che ciò che ci viene affidato o donato va fatto fruttare. In questo caso, chi ha fatto fruttare al meglio i talenti (= denari) ha dimostratro più talento (=valore aggiunto della persona). Le aziende oggi non sono fatte da talenti, ma da persone comuni. Queste ultime credono di non possedere queste capacità innate, spesso perché non hanno avuto ancora l’occasione di scoprirle.
Quanto sarebbe importante, invece, che un leader di un’azienda emancipasse il talento di ogni suo lavoratore! “Il talento non è più visto come una dote ‘innata’ da affinare seguendo le scuole giuste, ma sempre di più come qualcosa che appartiene a tutti gli individui all’interno di un’azienda o di un gruppo. Avere talento significa possedere una caratteristica che oggi all’interno di una specifica azienda in una specifica posizione permette di esprimersi al meglio” ha spiegato Vittorio Maffei, Managing Director di Infojobs per l’Italia, intervenendo a una tavola rotonda dedicata al talent management nel corso del Forum dedicato alle Risorse Umane. Concorda con questo pensiero Emilio Zampetti, Direttore Risorse Umane del Gruppo Elica, una delle aziende italiane dove, secondo la classifica Top Employers Italia, si lavora meglio.
“Il talento in assoluto non esiste – ha sottolineato Zampetti – ma è rappresentato dalla persona giusta al momento giusto nel posto giusto. La vera sfida è valorizzare il talento di ognuno, a partire da un modo di lavorare basato sulla capacità di apprendere velocemente, di sapersi adattare ai diversi contesti e di adeguarsi al cambiamento”. Ma allora come si può riconoscere il proprio talento? È davvero difficile scoprire cosa c’è di unico in se stessi, se a priori si è già stabilito cosa è giusto e cosa no. La domanda da farsi è: come posso coltivare quelle qualità che sono soltanto mie e che nemmeno io so di avere? Ebbene, la buona notizia è che ci sono alcuni atteggiamenti che aiutano a liberare il talento. In primo luogo è necessario sapere che il talento si manifesta meglio quando ci affidiamo all’imprevisto. In secondo luogo bisogna ogni tanto entrare in uno stato di estraneità, come se non fossimo noi ad agire: fare qualcosa senza badare allo scopo, ma perdendosi nell’azione.
Ovviamente quando questa strategia non arrechi alcun danno all’azienda o a noi stessi. Il problema con il talento è che questo termine si associa di solito a delle caratteristiche proprie di persone in grado di fare azioni inarrivabili, per esempio ai campioni sportivi, ai grandi musicisti o attori, a persone che nella vita sanno emozionare perché hanno coltivato un proprio dono, portandolo a esprimersi a livelli molto elevati e lo hanno messo a disposizione di tutti.
Se vogliamo dirla tutta, il vero talento qui non è tanto il dono di essere speciali, quanto la dedizione e la disciplina che queste persone mettono al servizio del proprio talento per farlo sviluppare al massimo del suo potenziale.
Ma se è vero che tutti hanno una dose di talento, come scoprire la propria dose? Per iniziare è importante concedersi uno spazio di riflessione. Il modo più semplice per cominciare a identificare i propri talenti è porsi alcune semplici domande: cosa mi riesce bene? Nel fare cosa mi sento particolarmente a mio agio? Per cosa mi apprezzano gli amici? E i miei familiari? Per quale mia qualità le persone mi chiedono aiuto? In cosa penso di essere davvero diverso dagli altri? Dare risposta a queste domande può sembrare banale, perché troppo spesso diamo per scontate qualità che, invece, per altri possono apparire preziose. Imparare ad apprezzare i doni che abbiamo è davvero l’inizio per vedere noi stessi e la nostra vita sotto una luce diversa. E voi quale talento avete? Comunichiamo Amici, non è mai abbastanza!