Se c’è cambiamento, prova a farne parte.

Il 2022 è quasi in chiusura, quindi iniziano a sprecarsi i report di ‘sommario’ per un anno che definire ‘particolare’ è forse troppo poco. Ma ripercorriamo questa ‘particolarità’ al netto di ogni altra considerazione morale.

Il 2022 è quasi in chiusura, quindi iniziano a sprecarsi i report di ‘sommario’ per un anno che definire ‘particolare’ è forse troppo poco. Ma ripercorriamo questa ‘particolarità’ al netto di ogni altra considerazione morale. Stiamo ancora affrontando un periodo di profonde trasformazioni, è vero che siamo sempre in trasformazione per definizione, eppure adesso il sistema in cui siamo inseriti si modifica ‘as we speak’. Sono usciti i dati relativi ai ‘Top brand 2022’ (rapporto ‘Brand Finance Global 500’) e come Europa siamo messi diciamo non tanto bene, direi che siamo una grande opportunità per qualcun altro e abbiamo completamente perso la guida. Quasi il 70% dei 500 Top brand a livello mondiale se lo dividono Stati Uniti e Cina (dominanza USA, ovviamente ma per adesso), e il nostro caro continente ha le bricioline, forse arriva al 15%, ma giusto perché ci sono dei costruttori d’auto che reggono il colpo. Ah, i leader mondiali sono i soliti noti: Apple, Amazon, Google, Microsoft, Walmart per andare sui primi cinque. Ed è meglio concentrarsi sui top 500, se andiamo ai top 100 la situazione per l’Europa è pure peggio, diciamo che lasciamo sul terreno un 5% a favore delle nazioni dominanti.

Problema: visto che la parte del leone – a livello di settori – la fanno la tecnologia, i media, la comunicazione e i servizi, come facciamo a controllare il futuro se è controllato da altri? Bel problema. Aggiungiamo che il retail – a livello di super marchi mondiali – è il secondo segmento in valore assoluto, i suoi marchi valgono 1.165 miliardi di dollari ed è – anche questo – territorio di altri. Tra l’altro è un territorio cresciuto velocissimo durante il periodo pandemico, +46% di valore dei brand, molto più veloce anche del comparto tecnologico. Molti nuovi entranti, a quanto pare, e la capacità di crescere perché, come sostiene David Haigh, Amministratore Delegato di Brand Finance, “quelli che hanno dimostrato l’agilità di adattarsi e utilizzare la tecnologia hanno impressionato con solidi guadagni. La trasformazione del settore per soddisfare i propri clienti esigenze in evoluzione ha sparso semi di prosperità sia a breve che a lungo termine”.

Chiaramente, come dicevamo in un articolo precedente, il settore retail è sottoposto in alcune sue parti a una certa ciclicità, e certamente il contesto economico complessivo è un aspetto da non sottovalutare, ma è interessante vedere come, dati alla mano, ascoltare il mercato, ‘vedere’ i propri clienti e capirli porta poi vantaggi tangibili, se si mette in operatività quello che si è visto. Quindi, a livello di mercato complessivo, qualcun altro ha visto bene, ha visto lungo e si è ben posizionato nel retail, e sta facendo un bel po’ di soldi. E questo perché ci interessa, perché ci interessa che non sia italiano o europeo, perché è una cosa da capire? Ma dico, perché come abbiamo già spiegato più volte, abbiamo come umani la tendenza a uniformarci, a seguire, a fare parte, a pensare di essere originali mentre seguiamo la bandierina che sventola qualcun altro. Quindi dobbiamo per forza di cose capire chi fa cosa, chi comanda o chi vince, perché magari ci dà un segnale preciso sul nuovo modo di pensare e vedere ‘il mondo’ da parte del consumatore finale.

Eccessivo? Ma mica tanto. La lezione di super brand come Apple dovrebbero essere analizzate e ascoltate a qualsiasi livello si operi, la conoscenza delle dinamiche del mercato, la capacità di comprendere il cliente nelle mille sfaccettature dei suoi comportamenti non sono esercizi solo da Top brand, sono buone pratiche per chiunque debba confrontarsi con il mercato, quindi, già detto ma si sa mai, con le persone. A questo proposito, ho chiuso da poco un’analisi sul retail per un cliente, e sono emersi dati e informazioni interessanti. La prima, retail e automazione vanno mano nella mano. Nei prossimi anni gli investimenti cresceranno del 23% all’anno, per otto anni. È una montagna di soldi, certo, ma è anche il segnale tangibile di un cambiamento epocale. Vero, dicevamo di Top brand, Walmart è un colosso, a livello di brand vale più di 110 miliardi di dollari, è anche vero però che ha in piano di investire 14 miliardi di dollari in automazione. Non sei leader per grazia ricevuta, mai. E se vedi che c’è un cambiamento nel tuo mondo, provare a farne parte – se non controllarlo – sembra essere sinonimo d’intelligenza business. Il grande cambiamento è che, al nostro livello, a livello umano, dobbiamo familiarizzare sempre più con le innovazioni tecnologiche, nel nostro modo di essere retail.

Non volevo usare Satispay, me l’hanno fatto installare di forza, ho iniziato a usarlo: super comodo, veloce, contante sempre in tasca perché il cellulare è una protesi, non è un oggetto tecnologico, è sempre con noi (me in questo caso). Ergo mi piace, esperienza utente senza problemi di sorta, nella mia testa sta facendo la stessa fine del cambio automatico: non lo volevo, adesso è mai più senza. Sarei vissuto bene anche senza? Ma certamente sì. Vivo meglio avendolo? Non lo so, ma male non fa. Sono diventato un integralista del mobile payment? Assolutamente no, l’altra sera in una pizzeria di Isola a Milano, non avessi avuto il vecchio bancomat avremmo dovuto lasciare la pizza lì, perché di Satispay non se ne parlava. Tutto scorre, tutto va compreso, tutto va letto in maniera critica, pochi entusiasmi, si parla di business. Torno al progetto appena concluso e alle decisioni sul futuro – come ogni fine d’anno, si è parlato di self service checkout.

Pago ed esco da solo, senza intervento di un commesso o che so io, ci sono numerose soluzioni diverse, piccoli schermi che accettano anche il pagamento in prossimità, si usano carte, cellulari, ho visto prototipi per il biometrico davvero carini – commento apparentemente sciocco ma tutto quello che sta in negozio deve avere senso col brand, anche il sistema di pagamento che uso, e pure lui deve essere, come detto, bello quanto le cose che vendo. Mercato che cresce esponenzialmente, vale adesso circa 14 miliardi di dollari, salirà a 18 miliardi in circa tre anni.

Decisioni, si diceva: devo essere della partita? Sì, forse, ammesso che tu conosca i tuoi clienti e sappia che non sono preoccupati della sicurezza dei propri dati, che siano a proprio agio con la tecnologia, che siano veloci al punto di non creare intoppi al processo di pagamento degli altri – una fila superiore alle sette persone spesso porta a ‘lasciare’ l’acquisto per tempi meno caotici. Se conosco i miei clienti posso usare l’innovazione in modi creativi, che ancora – reiteriamo di nuovo – creano esperienze uniche. In Cina – che è seconda al mondo per Top brand, quindi sarà bene essere umili e dare uno sguardo – Harmay (un retailer di prodotti di bellezza) ha usato i nastri trasportatori e le casse che si usano spesso per l’automazione dei magazzini in bella vista all’interno del punto vendita – un vecchio rifugio antiaereo a Chongqing – per creare un’esperienza d’acquisto super tecnologica, totalmente self-service, per una clientela giovane e urbana. Pagamento? Ma anche qui self service, si scannerizza il prodotto, si paga wireless e via, verso una nuova avventura. Non è un esempio estremo, è creatività, uso di quanto modernamente disponibile accoppiato a una grande conoscenza dei comportamenti d’acquisto. Importante? Mah, direi, Harmay ha attratto investimenti per 200 milioni di dollari, quindi un po’ di ragione forse ce l’hanno.

Leggo un altro report sullo stato della omnicanalità a chiusura del 2022, sempre nel retail. E anche qui ci sono riflessioni da portare a casa. Intanto una domanda, tipo quelle che in EY si chiamavano ‘better questions’: come fai a trasformarti ed essere riconosciuto dai tuoi clienti quando tutti si trasformano nello stesso modo? Magari non è una gran ‘better question’ ma è una domanda. Tutti fanno tutto. BOPIS, più del 54% dei retailer lo usa. Mobile payment, siamo al 76%. Endless aisle (lo scaffale infinito, complemento elettronico di quanto c’è in negozio), anche qui siamo sopra al 55% e si cresce. Quindi? Me too? Anche io? E dipende. Spesso da dove un marchio si posiziona, se è nel basic, è un premium o di lusso, o magari siede proprio nel mid-market. Sfide diverse, capacità di spesa diverse, un futuro diverso.

I marchi di base (prezzo e qualità diciamo moderati) usano le piattaforme mobili più di altri segmenti retail. Semplificano l’acquisto in-app, e aggiungono anche shopping online e un migliore servizio in negozio, il lusso pensa a rafforzare l’esperienza in-store, molti si dimenticano che il cliente diventa un ‘life-time customer’, un cliente per la vita, se il post vendita diventa una componente fondamentale del valore percepito, e qui le trasformazioni potrebbero essere molteplici. Solo 44% dei retailer nel lusso considera l’esperienza BORIS – Buy Online Return In Store – come un’opportunità da sfruttare, contro l’87% dei brand basic. Si impara sempre, da chiunque, lusso o non lusso, e ogni momento di contatto con il cliente conta per sottolineare il valore del brand, anche quando il contatto è perché le cose non vanno come devono.

Anzi, forse questo è proprio il momento importante. Quindi BORIS? Perché no. È vero, a fine 2022 la trasformazione digitale nel retail, e le vendite omnicanale sono due aspetti in crescita, ma il ruolo del negozio rimane fondamentale nella vendita al dettaglio. Non solo il negozio è un luogo ‘di mercato’ dove si guida il rapporto con cliente e l’acquisto, ma è anche di supporto alle attività scatenate dagli altri canali, aumenta la soddisfazione del cliente con un’esperienza superiore. Visto che pare il pendolo che oscilla sottolineando di nuovo il ruolo della componente ‘fisica’ nel 2023, l’esperienza del negozio – e l’assistenza complessiva che i clienti ricevono, in qualsiasi forma – sarà importante per catturare il cuore, la mente degli acquirenti, cambiandone la percezione. Chiudo con un concetto che spesso non viene sottolineato con la dovuta attenzione: i clienti non vedono canali, innovazioni tecnologiche, trasformazioni digitali, vedono un brand. A tutto tondo, con una storia, con un valore, con una rilevanza. I changemaker, i ‘costruttori del cambiamento’ non sono i brand, sono i clienti, che hanno la loro, talvolta forte visione del futuro. È la loro percezione che conta. Non dimentichiamolo mai, è tutto un problema di percezione.

Alessandro Lorenzelli

Ph.: <a href=”https://it.freepik.com/vettori-gratuito/sconto-e-carta-fedelta-concetto-astratto-illustrazione_12290904.htm#query=buy%20now&position=16&from_view=search&track=sph”>Immagine di vectorjuice</a> su Freepik