L’inclusività di Valentina

Intervista a Valentina Giannelli di Ottica Vale

ph. Roberto De Riccardis

Da una manciata di mesi Valentina Giannelli, titolare di Ottica Vale a Impruneta (Firenze), ha deciso di far salire un altro gradino al proprio centro ottico spostando la propria sede a pochi metri dalla precedente e rinnovandolo in base a una visione multidisciplinare. Ottica Vale è un bellissimo esempio di imprenditoria femminile visionaria.

La storia di Valentina Giannelli è legata a Impruneta, città che, pur non dandole i natali, l’ha accolta e resa parte della sua comunità. Nel 1991 Valentina Giannelli ha infatti aperto in questo angolo di Toscana il suo primo centro ottico, Ottica Vale. In soli 16 metri quadrati è riuscita a creare la sua visione portandola avanti tra queste mura nei cinque anni successivi. L’attività cresce sempre di più trovando un ampio consenso da parte dei cittadini e Valentina si rende conto di avere la necessità di allargarla e la sposta in un locale non lontano. Dopo il Covid, capisce che era giunto il tempo di un ulteriore cambiamento, questa volta però ad ampio spettro, includendo una visione che incontrasse non solo il progetto architettonico, ma includesse altri aspetti che riuscissero a generare una visione inedita, in cui il cliente fosse al centro e si rafforzasse la relazione con lei e il suo staff. Dopo un’accurata ricerca, si imbatte in quello che una volta era un panificio i cui locali erano un susseguirsi di ambienti diversi, incastrati ma dotati di un’innata fluidità. Contestualmente Valentina conosce il progetto di ZEISS “Centro Ottico del Futuro”, che abbraccia e sposa subito con entusiasmo, permettendole di concretizzare la sua visione in cui il centro ottico rimane il punto di riferimento per il consumatore. Ciò che non è mai mutato è il suo credo che vede la sua professione come un percorso in cui l’inclusività e il contatto umano sono imprescindibili. 

Virgolette sinistra
Come si è avvicinata al mondo dell’ottica?

Esercito questa professione da tanti anni, ormai 35 per l’esattezza, e ho cominciato per caso, perché non sono figlia d’arte. La mia aspirazione sarebbe stata quella di fare l’architetto, quindi in un ambito professionale completamente differente. Avevo però uno zio con un negozio di ottica avviato da diversi anni e, finite le superiori, per motivi familiari, ho accettato il suo invito ad affiancarlo; ho iniziato questo percorso formandomi all’Istituto di Ricerca e di Studi in Ottica e Optometria (IRSOO) di Vinci. Ho lavorato con mio zio per cinque anni e poi, grazie al suo sostegno psicologico, ho aperto il mio centro ottico a Impruneta, alle porte di Firenze. Tuttora la mia attività è in questo paese; è una piccola realtà che comunque sul territorio è vivace ed è conosciuta perché è alle porte del Chianti ed è il paese del cotto… quindi ha delle sue caratteristiche ormai consolidate. Ho avviato la mia attività in un negozio di 4 metri per 4, dove il vecchio proprietario, oltre alle pareti, aveva lasciato tutto l’arredamento realizzato con i resti della cameretta della figlia. Lascio alla sua immaginazione come fosse. Poi l’ho risistemato e per cinque anni ho vissuto in questa bomboniera. Successivamente, mi sono spostata in quello che è stato il fondo che mi ha ospitato per quasi trent’anni, fino a quando, ormai da cinque/sei mesi, ho realizzato il sogno di trasferire l’attività in un ambiente più grande. Mi si è presentata un’occasione imperdibile e da lì è cominciato un percorso completamente diverso, perché anche nel nostro settore avere lo spazio dove potersi esprimere, oltre che lavorare, è molto importante. 

 

Dalle sue parole si deduce che lei avvalori la tesi che spesso è un po’ il lavoro che trova noi: è come se ci scegliesse… con più di trent’anni di esperienza, qualche bilancio lo può già fare: cosa le è piaciuto di più del suo lavoro? L’incontro con le persone? L’aspetto professionale? C’è un elemento che per lei ha rappresentato il coup de foudre per il quale ha deciso di sceglierlo? Avrebbe qualche consiglio da fornire a coloro che si vogliono affacciare alla professione?

Premetto che ho sempre trovato uno spazio anche in questo lavoro per dare sfogo alla mia creatività, perché, alla fine, anche se ho scelto un’altra strada, è sempre stata la mia compagna di viaggio. Ma la cosa più importante, secondo me, è il contatto umano, il contatto con le persone; quindi, tutto il mio lavoro è finalizzato per avere un riscontro e una soddisfazione data dal fatto che le persone sono soddisfatte del servizio che gli viene prestato. Il rapporto umano è alla base di tutto e, anche se a volte interfacciarsi con i clienti può essere difficile, sicuramente però vince l’empatia e la relazione che riesci a costruire. Il contatto con le persone è difficile e lo è sempre di più; negli anni questo aspetto è andato piano piano crescendo. Però, credo, che nella nostra professione si impari a essere anche un po’ psicologi: se riusciamo a mettere in atto questa capacità, riusciamo a creare anche una relazione vincente. Il nostro lavoro spazia in più forme dato che vengono persone che hanno bisogno di risolvere un problema e, quindi, l’attenzione deve essere specifica perché dobbiamo essere comprensivi, oltre a promettere di risolvere il loro problema. Poi c’è il fattore estetico, che non è da sottovalutare; anche se ormai l’occhiale è diventato un accessorio, anzi, secondo me, l’accessorio per eccellenza visto che lo dobbiamo portare sul viso, tante persone sono ancora molto rigide di fronte a questa necessità. Abbiamo più aspetti da tenere sotto controllo e questo a volte ci fa scontrare con il nostro interlocutore. Concludendo, se si vuole un riscontro finale, che comunque ha un costo, ci sono peculiarità che dobbiamo avere: la gentilezza, la comprensione e anche la delicatezza di saper affrontare, affinché il risultato sia buono in tutti i sensi. 

 

Quando ci siamo conosciute, le ho chiesto che tipo di occhiali proponesse, e lei ha dichiarato “un prodotto trasversale, che possa incontrare tutti”. Trovo questa risposta interessante perché il covid ci ha insegnato che il vostro è anche un ruolo importante per la comunità, un punto di riferimento sociale (non a caso, fra le pochissime attività che sono rimaste aperte, c’erano appunto i negozi di ottica). Questa trasversalità e questa capacità di poter essere inclusivi per tutte le fasce di mercato è importante. Però ovviamente le direttive del marketing tendono un po’ a consigliare l’iper-specializzazione se non di prodotto, almeno di target. Alla luce di queste affermazioni, ha riscontrato problemi ad avere questa apertura?

No, c’è stato un momento in cui ero particolarmente attratta da chi trattava un certo tipo di prodotti d’avanguardia; è chiaro che, se vai in questa direzione, ti muovi chiaramente ‘nel bello’, in un settore dove la tecnologia si sposa con la scelta dei materiali, quindi con l’esclusività, aspetto che rende ‘appetibile’ un oggetto di qualunque genere sia. Ma non sono mai riuscita a inserirmi in questa ‘nicchia’, un po’ come quando non riesci a rientrare in autostrada. Quindi ho fatto un passo indietro e mi sono posta la domanda: sono sicura che sia quello che vorrei e che fa al caso mio? La risposta è stata no e i fatti poi mi hanno dato ragione. Comunque, nella nostra offerta abbiamo anche la clientela di occhiali ‘esclusivi’ che selezioniamo con cura, con attenzione ai particolari pensando sempre alle sue esigenze. Però penso anche che questo cliente tipo potrebbe avere una moglie, un marito, dei genitori, dei figli… e se la mia offerta fosse esclusiva per quel tipo di prodotto, secondo me, perderei tutto il resto della famiglia.

 

Una volta c’era l’ottico di famiglia, che era un po’ come il medico di base. Confrontandomi con tanti suoi colleghi mi è stato detto che questa figura c’è, è vera, ma fino a un certo punto perché questa peculiarità un po’ si è persa negli ultimi anni alla luce di un mercato in cui la competizione è molto alta; quindi, oggigiorno, è difficile avere la vera fidelizzazione come c’era una volta. Secondo lei l’ottico riesce ancora a essere un punto di riferimento proprio per la comunità?

Sì, secondo me, sì.

 

Nel suo caso è così?

Sì. È comunque un risultato di un lavoro e anche di un pensiero perché non ho mai pensato né tantomeno provato a voler fare concorrenza a qualcun altro o a qualcosa, intesa come le catene, la vendita online o sui generis. Quindi, ho mantenuto sempre il mio ‘stile di lavoro’ e anche l’apertura della sede nuova è stata realizzata con la volontà di creare uno spazio inclusivo; credo che solo con l’inclusione le persone possano darti fiducia. Vorrei sottolineare che di base sono un ottico optometrista e il nostro lavoro è fatto di tanti professionisti e di tante sfaccettature, però io e il mio staff ora siamo in grado di poter anche gestire e indirizzare le persone che, quando vengono si sentono sicure, anche se poi alla fine magari l’occhiale non lo facciamo. 

 

Quante persone lavorano nel suo centro ottico?

Quattro, inclusa me. 

 

Ha coinvolto anche la sua famiglia in questa attività?

Quasi in toto. 

 

In toto, quindi con i suoi due figli?

Sì, i miei figli. Mio figlio si è laureato in optometria e quindi si è inserito benissimo, con tranquillità e sicurezza, creandosi un suo meccanismo di lavoro, totalmente indipendente dal mio. Credo che questo risultato sia egregio perché pur avendo lo stesso stile, ognuno se lo personalizza secondo le proprie competenze e capacità. Mia figlia, invece, si è da poco laureata al Polimoda e ci segue tutta la parte promozionale, la comunicazione e i social. Questo aspetto oggigiorno è molto importante. Mio marito non è direttamente inserito, però ha un’attività ormai storica a Firenze nel mondo dell’ottica.

 

Ha accennato che desiderava intraprendere la professione di architetto e che non ha mai messo da parte la sua creatività. Recentemente le è stata offerta la possibilità – che definirei “reciproca” – da parte di un’azienda importante del nostro settore, la Zeiss, di partecipare a un master organizzato in collaborazione con il Politecnico.

Sì, esatto, al Politecnico di Milano.

 

Qual era il tema?

Il negozio del futuro. Inizialmente sono stata più attratta dal titolo che non dal corso di per sé perché pensavo fosse uno dei tanti… Devo dire che sono rimasta sorpresa da come era stato impostato, dalle persone che lo hanno presentato in una maniera, secondo me, perfetta. Sono riusciti a catturare la mia attenzione. Durante il corso hanno preso la parola una serie di professionisti provenienti da settori diversi (architetti, filosofi, umanisti…) e questa convergenza ha permesso di delineare il negozio del futuro. Il lavoro è frutto di tre anni di ricerche. Il risultato non è stata una soluzione iper-futuristica ma è stato realizzato guardandosi un po’ alle spalle, facendo un passo indietro ed è sfociato nella necessità di dare più spazio al cliente, più attenzione, partendo dall’accoglienza all’interno di un centro ottico. Il progetto ha rifinito, ad esempio, la gestione dalla vendita in piedi o seduta, l’aspetto optometrico, la consegna dell’occhiale e tutti gli aspetti successivi, quindi il ritorno, la fidelizzazione. Ad esempio, ora facciamo anche le telefonate di cortesia dopo quindici giorni per sapere se il cliente è contento e questo aspetto ha avvalorato ancora di più tutto questo percorso. E devo dire che il riscontro c’è… positivo ovviamente. 

 

È un po’ come se si fosse fatto un percorso per tornare a ‘esercitare la cura’, che, credo, sia un elemento che negli ultimi dieci anni si è perso per mille motivi. Quindi la cura che va da come accogliete, a far trovare uno spazio che rispetti i flussi naturali di come una persona si muove all’interno di uno negozio, seguendo tutto un processo che porta poi a fidelizzare il cliente. Cioè, l’atto di vendita non deve essere l’ultimo passaggio del percorso! Grazie a questo corso della Zeiss, però lei è andata oltre, perché desiderava ristrutturare il proprio negozio.

Esatto, è stato un aspetto arrivato quasi in concomitanza, frutto di una serie di coincidenze positive… Ho richiamato dopo poco Annalisa Marino, la mia referente in ZEISS, domandando cosa avrei dovuto fare per partire in concomitanza anche con il progetto di ristrutturazione. Mi ha messo in contatto con l’architetta che è stata scelta per portare avanti questo progetto. Abbiamo iniziato questa esperienza insieme, che è stata bellissima, e credo abbia lasciato un buon ‘sapore’ a tutti quanti. 

 

L’architetta è Simona Dentone…

Esatto. È una bravissima professionista molto specializzata nel mondo del retail, che conosce e pratica da tempo. Ma poi è una persona che ha saputo ascoltare, che ha saputo tradurre anche le mie richieste. Ci siamo subito trovate benissimo. Inoltre, Simona ha lavorato insieme allo studio di architettura AIM STUDIO, che avevo scelto. Anche in questo caso, si è instaurata subito una grande sinergia.

 

Dato che sono passati un po’ di mesi dall’inaugurazione del nuovo centro ottico, ci fornirebbe una sorta di valutazione? Come ha vissuto il cliente fidelizzato questo cambiamento?

Il cliente affezionato ci ha fatto tantissimi complimenti, ma anche quello nuovo! La clientela si è allargata a macchia d’olio, sono arrivati i familiari, gli amici… Ciò che ho piacevolmente rilevato è che il cliente permane di più in negozio, si sofferma con molto, molto più piacere. Quindi la vendita dura di più e riusciamo a vedere che c’è anche un riscontro maggiore. E abbiamo un caffè o una bibita o un gelato da offrire quando il caso lo richiede. Qualche volta è dura fare alzare il cliente, perché sta veramente volentieri; quindi, si parla un po’ di tutto, diventa quasi un salotto quando è possibile.

 

Zeiss ha quindi coronato il suo sogno?

Assolutamente sì!

 

Valentina, la ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato. Trovo che la sua sia una bellissima storia di imprenditoria femminile… Quindi, forza, perché c’è bisogno di più donne nel nostro mondo lavorativo!

Grazie dell’ospitalità, siete veramente un bel gruppo. 

 

Bene, allora che il ‘negozio del futuro’ faccia il suo corso!

Virgolette destra


 

Ph. Roberto De Riccardis

Paola Ferrario